Arrivederci Elena! Ora tocca a noi
Non aveva mai fretta, Elena. Aveva sempre il tempo di fermarsi in mezzo alla folla e alla confusione e domandare, incuriosirsi. Sempre pronta a imparare qualcosa di nuovo. Come non avesse altro da fare.
«Elena – mi diceva, e l’omonimia era solo la più banale delle cose che ci legava – hai scritto qualcosa di nuovo? Hai incontrato qualche sindaco interessante? E in università cosa sta succedendo?».
Non aveva fretta, ma aveva un’implacabile urgenza di provvedere al prossimo, di sostenere i più deboli, i bambini e le donne sole, le donne violate e i giovani senza speranze. Elena aveva un impegno concreto e insieme “politico”, nel senso più pieno del termine. Era sempre desiderosa di modificare le strutture sociali e culturali d’impedimento all’integrazione dei poveri e degli esclusi, dei deboli e dei malati.
Era cristiana, Elena. Una cristiana che ha preso alla lettera l’invito a “dare la vita per i propri amici”. E i suoi amici preferiti erano sempre gli ultimi: i drogati, le prostitute, gli extracomunitari, quelli con difficoltà familiari, i carcerati. Perché Elena andava sempre all’essenziale delle persone, non ne vedeva le cadute, i limiti, i problemi, ma solo la loro immensa potenzialità d’amore.
Pediatra, ha lavorato con passione per molti anni all’ospedale di Magenta. Negli anni Ottanta ha iniziato a occuparsi di tossicodipendenti. Così ricordava a distanza di tempo. «Oltre che mettere a disposizione la mia stessa casa, abbiamo preso un appartamentino in montagna, dove noi “operatori” a turno ci recavamo e ospitavamo un ragazzo alla volta, disintossicandolo e portandolo nella natura».
Negli anni Novanta è iniziato il suo impegno con le persone immigrate presso il Naga, associazione dedita all’assistenza medica degli stranieri. «Con loro ho vissuto un’esperienza meravigliosa, un’esperienza di frontiera, di fratellanza con persone d’idee completamente diverse. Lì ho fatto per 20 anni il medico degli immigrati clandestini, con diverse responsabilità fino a ieri. Mi hanno accettata come “cattolica” anche se quasi tutte le persone erano di convinzioni diverse dalla mia».
Poi è cominciato l’impegno con i rom e i sinti, andando nei campi a portare cure e attenzione e poi di notte per strada a incontrare le prostitute. «Per molti anni sono andata “sulle strade” offrendo alle ragazze amore disinteressato, ascoltandole, portando bevande calde, indumenti, la Bibbia in inglese, senza pretendere la loro liberazione: era per me un vero amore disinteressato».
Elena era la prova vivente che una vita ben spesa allarga continuamente i propri confini. Ha ragione Nadia, volontaria del Naga, che la ricorda come donna determinata e cocciuta. «Sempre ubriaca d’amore per il prossimo, contro la ragione e indifferente ai dati di realtà che si divertivano a smontare i tuoi progetti. Non ti sei mai piegata alla realtà coi suoi maledetti dati, barricata nel tuo mondo di idealità col candore di una bambina che ti regalava uno statuto speciale. E poi capitava… di vincere. Qualche volta succedeva. La realtà si piegava a te, e allora si diceva: "l’idea Elena" che cambiava le cose, verso quella direzione di bene che guidava ogni tua mossa».
Non era solamente cristiana, Elena. Era un’anima universale. Forse per quella origine ebraica da parte di entrambi i genitori, che ne aveva segnato l’esistenza fin dai primi anni, negli anni delle persecuzioni razziali. Origine che l’aveva resa cittadina del mondo e sorella dei perseguitati.
Verrebbe voglia di piantare ulivi, per ricordarti, come per i giusti di Israele. Ce lo siamo detti in tanti. «Secondo il Talmud, all’interno di ogni generazione, esistono da sempre e fino alla fine dei tempi, 36 Giusti, in grado di reggere e di contrastare, ignoti a tutti e a sé stessi, il Male che appare a volte inarrestabile. Elena Sachsel apparteneva certamente a questa eletta, pudica schiera. Chiunque abbia avuto la fortuna e il privilegio di conoscerla e di frequentarla, inevitabilmente ha percepito questa misteriosa, inesauribile forza interiore: una forza sommessa e sorridente, intrisa di serenità, fiducia nel prossimo, speranza nella vita che sempre e comunque, (era solita affermare) anche nei momenti in cui la speranza appare follia, non smette di trovare scintille di rinnovamento e di luce» (Stefano Dalla Valle, medico, ex volontario NAGA).
Sulle parole del cardinale Martini di Milano che chiedeva alle parrocchie un segno concreto di carità, nel 1994 con il parroco Elena si è adoperata per aprire a Magenta una casa per l’accoglienza dei più poveri e disagiati. Da allora, la Casa ha ospitato più di mille persone, uomini e donne: famiglie sfrattate, stranieri, disoccupati, italiani in difficoltà, ragazze madri, ammalati, ex tossicodipendenti, ex carcerati, ex alcolisti, ex psichiatrici. A gestirla, in collaborazione con i servizi sociali, sono da vent’anni tutti volontari. Quando ormai non era più completamente autonoma, Elena si è affidata alle cure e all’amore dei volontari della sua casa, debole tra i deboli.
Era coraggiosa Elena, e dolcemente sfrontata. Non aveva paura dei potenti, non aveva paura di dire la verità ai potenti, non aveva paura di cercare le soluzioni impossibili, di sfidare uomini pubblici e istituzioni perché si adoperassero per il bene comune. Non aveva paura a partire da sola, per aiutare i bambini in Perù o in Romania, ad aprire la propria casa all’ospite straniero o alla amica appena uscita dal carcere.
Era dolce e forte Elena, e disarmante nella sua debolezza e fragilità. Ci ha lasciati la scorsa settimana a 86 anni. In un giorno di lutto cittadino, la chiesa di Magenta era gremita per l’ultimo saluto dei moltissimi amici di Elena. Quelli che…non importa la fede, non importa da quale terra vieni, non importa se sei nomade, non importa quante volte hai sbagliato. Il mondo che Elena sognava era un mondo dove c’è posto per tutti.
«Finché ci sei tu Elena possiamo farcela», le ho detto poche settimane fa. La vedo sorniona che mi guarda e capisco già cosa vuole dirci. Ora tocca a voi!