Arrivano i Romani!
In genere, in una fiction o film sull’antica Roma il grido solito era: «Arrivano i barbari» a mettere la città a ferro e a fuoco. Così decine di film storici e pseudostorici. Questa volta però, nella serie di marca tedesca, in onda dal 23 ottobre su Netflix, Barbari, il grido è capovolto: «Arrivano i Romani!». La situazione infatti è quella del generale romano Varus che governa la Germania inferiore nel 9 dopo Cristo al tempo dell’imperatore Augusto. Varus (Gaetano Aronica) è un romano doc, duro e intelligente al tempo stesso: preleva due bambini del capo tribù dei Cherusci e li fa educare a Roma.
La gente quindi quando arrivano i romani è spaventata (le donne, classico cliché) e mette subito mano alle spade (gli uomini, alti, barbuti e rozzi). Naturalmente, i barbari sono gli oppressi e i romani gli oppressori. Così gli inseparabili amici Thusnelda (Jeanne Goursand) – tipica eroina guerriera – e Folkwin (David Schutter) – tipica testa calda germanica – non si danno pace nell’essere sottomessi al giogo romano, tanto più che le tribù barbare sono disunite e quindi una resistenza agli invasori è impossibile. Ma Ari, il bambino rapito ed educato alla romana da Varus, ora ritorna col nome di Arminius (Laurence Rupp): soldato romano d’onore che si si incontra-scontra con gli amici d’infanzia e il suo popolo di origine che lo rinnega. Finchè Arminius, dopo molti dubbi, ritornato Ari si decide per i “barbari”, li riunisce e nella selva di Teutoburgo fra l’8 e l’11 settembre del 9 distruggerà i romani – e il suo padre adottivo – da far gridare ad Augusto disperato la celebre frase: «Varo, rendimi le mie legioni!».
Questa la trama di una fiction che si situa sulla scia di film romano-barbarici come Centurion (2010) e The Eagle (2011) oltre che sulla serie tuttora in onda Barbariens.
Cosa c’è di nuovo in questa serie girata in Ungheria con capitali franco-tedeschi? In primo luogo la verità dei fatti, cioè la battaglia di Teutoburgo e la disfatta romana. Poi, la lingua latina classica, piuttosto dura all’orecchio, parlata dai romani (sottotitolata o tradotta), il rapporto padre-figlio, cioè tra Varus e Arminius che si fa rapporto conflittuale fra due mondi con disperazione e conflitti intimi da parte di entrambi, senza tuttavia retorica ma con stile asciutto. Infine la brevità dei sei episodi vivaci e sciolti – ovvio, con tanto sangue -, i costumi esatti, i dialoghi credibili. Naturalmente la spettacolarità – selve, stagioni, nevi, piogge, scontri furenti, litigate e così via – è d’obbligo come la divisione classica tra buoni (barbari ma non troppo) e cattivi (romani,sempre altezzosi e brutali). La realtà più insolita in fiction del genere è che una volta tanto la storia è raccontata dal punto di vista dei barbari, il che non riesce male, nonostante alcune libertà e fantasie concesse alla narrazione.