Arriva il pesce pappagallo
I pescatori di Portopalo non credevano ai loro occhi. Quei pesci “bruttarelli”, finiti nella rete e tirati su insieme a tutti gli altri, non li avevano mai visti: neri, squamosi, uno tra questi con un grosso testone.
La sorpresa dura qualche minuto, mentre i membri dell’equipaggio del Delfino di Antonio Brugaretta si aggirano attorno a quegli strani esemplari: poi la telefonata ad un collega, Fausto Santocono, comandante del “Salvatore Padre” e la decisione di contattare il museo di Storia naturale di Comiso. Passano poche ore ed i pesci vengono presi in consegna dal conservatore del museo, Gianni Insacco e dal ricercatore Bruno Zava, del Wildrness Studi ambientali di Palermo. I due ricercatori riconoscono subito quei pesci. Sono dei pesci pappagallo, presenti solo nell’Oceano Indiano e Pacifico (Thailandia, Indonesia, Sri Lanka, australia occidentale). Si tratta del “raggedfin parrotfish”, appartenente alla specie Chlorurus rhakoura. È stato classificato solo nel 1997, mai prima di allora gli studiosi si erano occupati di questo esemplare.
Ma chi ha portato questi pesci rari e poco noti nel Mediterraneo? Zava e Insacco non hanno dubbi. Quei pesci non sono arrivati in modo naturale, non si tratta di migrazioni, attraverso il canale di Suez o lo Stretto di Gibilterra. Non si tratta di pesci di allevamento o utilizzati dagli acquari. Quegli esemplari sono arrivati attraverso le navi che utilizzano le acque di zavorra per garantire l’assetto di galleggiamento quando le stive sono vuote. Petroliere e navi da carico (per trasporto di container, legname, pellet o altro), dopo lo scarico della merce, immettono nella stiva dell’acqua che serve a bilanciare la nave, garantendo lo stesso peso. Quando arrivano a destinazione, magari prima di effettuare un nuovo carico, rilasciano le acque di zavorra, prima di entrare nel porto. I sistemi di rilascio, con speciali pompe, e le tecniche di sterilizzazione, non dovrebbero permettere la sopravvivenza degli esemplari, ma spesso non è così. Questo, da qualche decennio, ha determinato quello che gli studiosi chiamano “roulette ecologica”, un fenomeno che preoccupa perché può sconvolgere gli ecosistemi marini.
«Secondo uno studio del Smithsonian Environmental Research Center – spiegano Zava e Insacco – su 70 navi sottoposte a rilevazione si è rilevato che il 90 per cento di queste navi ha trasportato organismi vivi in zavorra (Ballast water) , inclusi molluschi, copepodi, crostacei, alghe, celenterati e pesci giovanili».
Insacco e Zava hanno studiato i nuovi esemplari, ora conservati presso il Museo di Comiso. Non sono stati ancora musealizzati perché altri studi sono in corso, anche in collaborazione con altri stati. I risultati dei loro studi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Mediterranean Marine Science.
«Lo studio di Randall e Anderson nel 1997 – spiega Insacco – ci ha permesso di conoscere questa specie. Ma tra gli esemplari ripescati a Portopalo c’era un solo adulto femmina e tre sub-adulti. Questo ci ha permesso di studiare anche gli esemplari “immaturi”. Gli esemplari di questa specie nascono maschi, poi alcuni si trasformano in femmina. La femmina adulta ha un testone molto grosso, che la distingue dal maschio ed una coloritura bluastra nella coda. Gli esemplari di Portopalo avevano lo stomaco vuoto: non sappiamo da quanto tempo fossero nel Mediterraneo e se avrebbero trovato la possibilità di alimentarsi e di sopravvivere».
Il fenomeno, quindi, apre nuovi scenari. E gli studiosi segnalano i rischi di ciò che potrebbe accadere. «Al momento – spiegano Insacco e Zava – non esiste alcuna legge diretta dell’Ue sull’acqua di zavorra. Ma l’Europa ha riconosciuto la Convenzione internazionale Bwm per il controllo della gestione delle acque di zavorra e dei sedimenti, adottata nell’ambito di una Conferenza diplomatica nel 2004 come misura di gestione per le specie invasive di preoccupazione. Questa Convenzione entrerà in vigore l’8 settembre 2017. Lo scopo è minimizzare ed eliminare la trasmigrazione, tramite le acque di zavorra, di microrganismi acquatici nocivi e patogeni da una zona all’altra del globo. È un fenomeno che danneggia l’ambiente, la salute umana, la biodiversità e le diverse industrie coinvolte (pesca, agricoltura, turismo)».