Arresto Zuma, la violenza in Sudafrica
Dall’inizio di luglio, il mondo ha seguito con sgomento l’escalation di violenza nella “nazione arcobaleno”, il Sudafrica, dove sono esplosi i peggiori disordini dalla fine dell’apartheid, a metà degli anni 90. Giovedì 22 luglio la polizia sudafricana ha rivisto il numero totale dei morti in relazione ai disordini: 337.
L’innesco immediato dei diffusi saccheggi e incendi di aziende è stato, il 7 luglio, l’arresto e l’incarcerazione di Jacob Zuma, il 79enne ex presidente sudafricano (dal 2009 al 2018) ora indagato nell’ambito di una vasta inchiesta per le accuse di corruzione durante il suo mandato. Zuma è stato accusato di oltraggio alla corte e condannato a 15 mesi di prigione per il suo ripetuto rifiuto di partecipare al processo.
Anche se la polvere si deposita, c’è la prospettiva di ulteriori sofferenze. La fame e la carenza di cibo in alcune aree erano già un problema prima delle rivolte – in parte causate dai blocchi imposti per il coronavirus, mentre la variante delta attraversa il paese – ma ora rischiano di essere esacerbati dal caos. Alcuni chiamano gli eventi delle ultime settimane “l’ora più buia” del Sudafrica democratico. Ma è solo uno scatenamento spontaneo di rabbia provocato dall’incarcerazione dell’ex presidente?
Molti analisti vedono in gioco nelle rivolte di questi giorni una duplice realtà: da un lato le disuguaglianze e dall’altro le proteste dei simpatizzanti dell’ex presidente. In primo luogo, la “nazione arcobaleno”, così definita dalla sua lotta generazionale per l’uguaglianza razziale, è il manifesto globale della disuguaglianza economica, dove una profonda povertà siede all’ombra di una ricchezza astronomica.
Il Sudafrica post-apartheid è costruito su quella che è probabilmente la costituzione più liberale e moderna del mondo, ma è anche ostacolato nel suo sviluppo da vecchi problemi di corruzione ed altre sfide ataviche, come il tribalismo e clientelismo. Hlengiwe Motaung scrive: «La disuguaglianza e la mancanza di lavoro – la disoccupazione giovanile è al record del 74% – hanno trasformato il Sudafrica in una pentola a pressione».
Una dichiarazione della Fondazione Nelson Mandela rileva che «dal 1994 lo stato ha assistito a fallimenti seriali nel garantire la riparazione, la restituzione, la ridistribuzione. L’ineguaglianza è cresciuta a dismisura. Gli scartati e i disperati vivono le loro vite accanto ad un consumo cospicuo in piena vista”.
In secondo luogo, c’è in gioco una “terza forza”, quella che simpatizza per l’ex presidente Zuma. Pare che il problema rivelato dai disordini non riguardi solo l’iniquità. Zuma e i suoi lealisti sono impegnati in una lotta politica all’interno dell’African National Congress, che è al potere dalla caduta dell’apartheid e le cui frizioni interne dettano il corso della politica nazionale.
«Questa è una chiara campagna politica, e qui sta il suo potere e pericolo – ha scritto lo scrittore e storico Benjamin Fogel –. Sta prendendo di mira la stessa democrazia sudafricana ed è guidata da una fazione del partito al potere che è disposta a bruciare letteralmente il paese per raggiungere i suoi obiettivi».
L’editorialista dell’Observer, Kenan Malik, nel contesto globale osserva che la stessa questione viene sollevata in altre parti del mondo. Negli ultimi anni, la rabbia per l’ingiustizia radicata e la crescente distanza tra le élite politiche e aziendali e il resto della società ha sconvolto la politica democratica dall’America Latina all’Europa e al Medio Oriente. La pandemia ha solo intensificato queste tensioni, lanciando nuovi movimenti di protesta in luoghi come la Colombia e la Thailandia. Questi sconvolgimenti espongono la fragilità di fondo delle democrazie liberali in tutto il mondo. E, conclude Malik: «Gli eventi in Sudafrica mostrano in modo particolarmente acuto un fenomeno a cui stiamo assistendo in modi diversi e con vari livelli di gravità in tutto il mondo: il vecchio ordine che crolla, con poco per riempire il vuoto se non movimenti settari o politiche identitarie».
La chiave di lettura offerta da Ron Derby, caporedattore del Mail and Guardian, di Johannesburg, sembra gettare sulla situazione una luce che ha il sapore di una profezia: «Siamo una nazione che si trova di fronte a condizioni socioeconomiche paralizzanti, mentre l’economia continua ad arrancare in questa economia globale in continuo cambiamento. I saccheggi di questa settimana sotto la maschera delle proteste potrebbero non essere un vero riflesso di noi, ma sono forieri di un mondo a venire». Ed ha aggiunto: «L’unica paura è che il particolare marchio della nostra politica non abbia risposte per scongiurarlo».