Arrestato il superlatitante Iovine
Il boss dei casalesi era nella sua città. Il commento dello scrittore Bruno De Stefano: ora serve l’intervento dello Stato per lo sviluppo del territorio.
Più che un boss appena arrestato dalla polizia e destinato all’ergastolo, sembra una pop star assediata dai fans. Antonio Iovine, alias ’o Ninno, 46 anni, uno dei capi dei casalesi, feroce clan attivo in provincia di Caserta, è stato catturato giovedì 18 novembre. Alleato di Nicola Schiavone, il figlio di Francesco, il famigerato “Sandokan”, era più volte riuscito a sfuggire all’arresto. Con i suoi contatti importanti, i suoi viaggi all’estero e la sua faccia da bravo ragazzo, insieme a Michele Zagaria, ancora latitante, era il capo di uno dei clan più temuti ed importanti della Campania. Inserito nella lista dei ricercati più pericolosi redatta dal Viminale, era latitante da quasi 15 anni.
La cattura grazie ai rifiuti
Se Iovine è stato arrestato, per una volta – e solo per questa – bisogna dire grazie all’emergenza rifiuti. A causa dei cumuli maleodoranti sparsi un po’ dappertutto per le strade, infatti, le forze dell’ordine sono riuscite a nascondere nei finti sacchi dell’immondizia telecamere e microfoni autoalimentati. All’arrivo degli uomini della squadra mobile di Napoli, Iovine – che era a pranzo a casa di un incensurato – ha tentato di fuggire salendo sul tetto. Inseguito da una trentina di poliziotti, alla fine si è però arreso e col suo sorrisino ha ammesso: «Sono io», e si è consegnato. «Non sono il boss che viene dipinto in televisione», ha detto, aggiungendo poi di soffrire di claustrofobia e di volere, quindi, in carcere «una cella non troppo piccola».
Iovine è già stato condannato all’ergastolo per omicidio. A suo carico un cumulo di accuse: dall’associazione di stampo camorristico all’estorsione. A guidare la cattura di Iovine sono stati il vicequestore Andrea Curtale e il capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, che hanno agito al termine di pedinamenti e di un mese di appostamenti. Oltre all’arresto di Iovine, la Direzione antimafia di Napoli ha effettuato un maxisequestro di beni, per un valore di circa 3,5 milioni di euro, appartenenti ai fratelli Raffaele e Guido Zagara. L’intento, spiega il capo della polizia Antonio Manganelli, è distruggere l’intero clan. Grande la soddisfazione delle istituzioni e, in particolare, del Presidente Giorgio Napoletano, per il quale è stata un’operazione straordinaria importanza frutto della collaborazione tra magistratura e forze dell’ordine.
L’intervista
Bruno De Stefano, classe 1966, giornalista professionista, è da anni specializzato in cronaca nera e giudiziaria, nonché autore di numerosi libri sulla criminalità organizzata. L’ultimo, edito da Newton Compton, è 101 storie di camorra che non ti hanno mai raccontato. De Stefano conosce bene ciò di cui scrive. Nato e cresciuto a Somma Vesuviana, nel Napoletano, dove tra gli anni ’80 e ’90 si sparava e si uccideva per strada, ha subito più volte minacce a causa del suo impegno professionale.
De Stefano, un nuovo arresto eccellente…
«È innegabile che finora forze dell’ordine e magistratura abbiano ottenuto risultati straordinari, smantellando decine di clan e sbattendo in carcere centinaia tra boss e gregari. Si tratta di un lavoro eccellente, ma che rischia di diventare inutile se nelle zone in cui c’è la camorra, la presenza dello Stato non si manifesta anche sotto altre forme: sviluppo, occupazione, servizi».
Dunque, catturato un boss, anche se è un superlatitante a capo di un temibile clan, non si risolve il problema…
«La storia delle mafie ha sempre dimostrato che l’arresto di un latitante non produce chissà quali effetti. Per uno che finisce in galera, ce ne sono altri pronti a prendere il suo posto. Inutile, quindi farsi illusioni. Anche perché la battaglia contro la camorra non si vince solo con la repressione, che resta un pilastro fondamentale. Oltre agli arresti, lo Stato deve intervenire per creare le condizioni affinché la camorra non resti l’unico interlocutore credibile».
Quali sono gli scenari futuri nella lotta alla camorra?
«Nonostante la cattura di numerosi latitanti, penso che la battaglia contro la camorra sia ancora lontana dall’essere vinta. Sono oramai decenni che il contrasto ai clan procede a ritmi irregolari e con una certa schizofernia. Basti pensare alla scarsa attenzione riservata ai cosiddetti “colletti bianchi”: i criminali di professione vengono arrestati e condannati, ma i politici sospettati di collusione con la camorra continuano a stare ai loro posti. Come diceva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa “finché una tessera di partito conterà più dello Stato, non riusciremo mai a battere la mafia”».