Armida Barelli: nel mondo a servizio della Chiesa

La determinazione e il coraggio di una “santa laica”, coinvolta nella fondazione di Università Cattolica del Sacro Cuore e Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Verrà beatificata il prossimo 30 aprile.
Armida Barelli - Foto Pubblico dominio, Wikimedia Commons

Un percorso di profonda donazione a Dio vissuto laicamente e operosamente: così, in estrema sintesi si può leggere la giornata terrena di Armida Barelli che verrà beatificata a Milano il prossimo 30 aprile. La sua esistenza attraversa il Novecento inquieto, ed ha il sapore di chi si abbandona ai disegni di Dio aprendo con coraggio vie nuove ed impensate.

Una convinzione granitica riassunta nella formula «Sacro Cuore di Gesù, mi fido di te» guida i passi di questa infaticabile “cucitrice” di opere: l’Università Cattolica del Sacro Cuore, l’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo e la Gioventù Femminile di Azione Cattolica – realtà ecclesiali di tenore assai diverso, ma aventi come comune denominatore il timbro laicale dell’impegno cristiano nel mondo – riconoscono a lei un apporto determinante.

Ma procediamo con ordine. Armida nasce a Milano il 1° dicembre 1882. Per singolare coincidenza agli inizi di quell’anno papa Leone XIII aveva promulgato l’enciclica Etsi nos, con la quale il pontefice, preoccupato per il dilagare – soprattutto in Italia – di idee di stampo massonico e per l’orientamento politico ostile alla Chiesa, invitava i fedeli cattolici ad uscire dall’inerzia e ad agire, esortando a moltiplicare le associazioni di giovani e lavoratori cattolici, e a diffondere con competenza il pensiero cristiano.

La piccola Armida cresce in una famiglia benestante, che le trasmette valori umani e civili, ma non religiosi. Perché riceva un’educazione appropriata, viene inviata insieme alle sorelle a Menzingen, in Svizzera, in un collegio tenuto da suore di ispirazione francescana. Qui si rivela il suo carattere sincero e generoso, volitivo e birichino, unito a un’intelligenza vivace e a una componente di ragionevole concretezza.

Grazie alla lungimiranza e alla premura del padre spirituale che la segue, in Armida cresce la vita interiore e impara a dedicare quotidianamente del tempo al colloquio con Dio. L’amore divino le si manifesta a quindici anni: una compagna di collegio, che ripone una fiducia illimitata nel Sacro Cuore di Gesù, le parla di un ideale che non delude. Per Armida è un incontro fondamentale; avvolta dal Suo amore onnipresente, imparerà ben presto a compiere scelte coraggiose e sorprendenti.

Le sorelle, rientrate in Italia, si avviano felicemente alla vita matrimoniale, mentre Armida, che pure giunge a un passo dal fidanzamento, avverte un richiamo interiore che sembra indirizzarla verso la vita religiosa.

Ma i disegni di Dio si dipanano lungo sentieri non sempre lineari: in punto di morte il papà nel 1906 le chiede di non abbandonare la mamma e di sostenerla alla direzione dell’azienda di famiglia. «Gesù bussa in fondo al mio cuore», scrive nel 1908; due anni dopo Armida conosce padre Agostino Gemelli: sotto il segno della spiritualità francescana, ha inizio una collaborazione dagli sviluppi imprevedibili. Il frate riconosce nella colta signorina i segnali di una vocazione adeguata ai tempi moderni, ad una società sempre più lontana dai valori cristiani.

«Il Signore faccia di lei una santa laica nel vero senso della parola», le scrive nel 1913 e precisa: «non come le “suore in casa”, ma com’erano le prime vergini e martiri cristiane, che hanno ingigantito la missione della donna nel mondo. Così deve fare lei: laica ma santa». In questa prospettiva prende forma l’aspirazione interiore di Armida: alla vigilia della solennità del Sacro Cuore, il 30 maggio di quell’anno, ella si consacra a Dio rimanendo laica nel mondo.

Altre giovani si uniscono a lei, e, il 19 novembre 1919 nasce un sodalizio di donne desiderose di vivere secondo i consigli evangelici, svolgendo apostolato nel mondo: una forma di vita religiosa innovativa rispetto agli stati di vita tradizionalmente contemplati nella Chiesa. Analoghi gruppi religiosi sorgono spontaneamente in varie parti d’Europa, ma la possibilità di una piena donazione a Dio unita all’attività nelle realtà umane sotto il segno della laicità, avrà bisogno di un lungo e faticoso percorso di approvazione, che giungerà a compimento solo nel 1947 quando l’Enciclica Provida Mater Ecclesia di Pio XII sancirà la nascita degli Istituti Secolari.

Pienamente coinvolta nelle opere promosse da padre Gemelli, Armida svolge un ruolo di primo piano anche nella realizzazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, unica donna a far parte del comitato promotore, con il ruolo di “cassiera”. Si deve a lei la determinazione e l’indubbio coraggio nel sostenere la dedicazione di una istituzione di natura culturale ad un soggetto religioso, in un’Italia accademica distante se non ostile a quanto aveva a che vedere con la Chiesa. Il 7 dicembre 1921 papa Pio XI inaugura un’opera che intende promuovere attività di studio alla luce del messaggio cristiano.

Il contributo di Armida Barelli si rivela determinante anche per la nascita e lo sviluppo della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, da lei tanto amata. Il racconto degli inizi ben esprime il temperamento della giovane donna. In quel di Milano, mentre la Prima Guerra mondiale non si era ancora conclusa, l’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari le chiede la disponibilità ad organizzare un movimento di giovani fanciulle per contrastare l’attività di propaganda che i socialisti – e le socialiste – andavano svolgendo con grande efficacia.

Riluttante a parlare in pubblico ella risponde che no, non è cosa per lei, ma non sono le «amare parole» dell’arcivescovo – «Dai ricchi non si ottiene mai nulla!» – a farle cambiare idea, bensì un episodio di cui di lì a poco viene a conoscenza, avvenuto in una classe di scuola media; alcuni iscritti alla Gioventù maschile avevano avuto il coraggio esprimere la propria fede ad un’insegnante che si era mostrata critica verso chi frequentava la messa domenicale, mentre le fanciulle, anch’esse fedeli alla messa, avevano taciuto. «Bisogna riunirle – pensa Armida, tormentata dall’accaduto – istruirle, dare loro la fierezza della loro fede, per farne domani madri capaci di educare cristianamente i figliuoli».

Detto fatto, nella primavera del 1918 nasce la Gioventù femminile milanese, e nel settembre dello stesso anno papa Benedetto XV incarica Armida di far nascere l’Associazione in tutt’Italia. Con il cuore in tumulto per l’incarico impegnativo, di lì a poco ella inizia a percorrere tutta la penisola, per fondare i Circoli ovunque. Una storia intensa e fruttuosa, che porterà l’associazione a contare nel 1940 più di un milione di iscritte, ma soprattutto fornirà alle giovani un solido patrimonio culturale ed ecclesiale nonché spazi di esperienza e di crescita spirituale ed umana.

Armida Barelli dunque percorre vie inedite e dà vita ad opere nuove nella Chiesa. Con la stessa fiducia nei piani di Dio ella affronta la malattia e conclude la sua vita il 15 agosto 1952, giorno dell’Assunta. Alle fanciulle della Gioventù Femminile lascia un invito, di più, «una supplica», a non accontentarsi di una esistenza tiepida: «Breve tanto è la vita, sorelline mie! – scrive –. Spendetela bene, spendetela per Colui che solo ne è degno, e solo può darvi la felicità eterna».

Incoraggiandole a testimoniare la fede cristiana in qualsiasi stato di vita siano chiamate, così si congeda: «Arrivederci lassù, dove la vita è eterna in Cristo, nostra vita vera, e con Cristo in Dio».

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