Armi: oltre il caso di Turchia e India

Senza pretese di completezza, il caso emerso in questi giorni del rifiuto turco di vendere armi all’India mostra l’espandersi esponenziale della corsa agli armamenti, anche oltre i conflitti in corso. Una tendenza favorita e caldeggiata non solo dalle contrapposizioni ideologiche o economiche, ma soprattutto dalle scelte di produttori vecchi e nuovi di armi. È purtroppo sempre più difficile credere che un riarmo di queste dimensioni possa puntare soltanto alla deterrenza.
Il primo ministro indiano Narendra Modi (in centro) arriva con i membri del suo gabinetto per la sessione di bilancio del nuovo Parlamento indiano a Nuova Delhi, India, il 22 luglio 2024. Foto: EPA/HARISH TYAGI via Ansa

L’occasione di queste considerazioni proviene da una sorta di “si dice”. O forse un po’ di più. Un si dice comunque tutt’altro che infondato, e che riguarda in generale un tema in questi anni sempre più pesante e minaccioso: la corsa agli armamenti.

Quello da cui vorrei prendere spunto è una notizia, riferita di recente, tra gli altri, anche da AsiaNews. Per farla breve: secondo alcuni verbali trapelati da una riunione del 10 luglio scorso della Commissione esteri della Turchia, Mustafa Murat Şeker, numero due della presidenza dell’Industria della difesa (Ssb), la principale agenzia turca che controlla la produzione e il rifornimento di armi, avrebbe detto: «L’India… è uno dei primi cinque importatori di armi al mondo, un mercato enorme, che importa quasi 100 miliardi di dollari. Tuttavia, a causa della nostra situazione politica e della nostra amicizia con il Pakistan, il nostro Ministero degli Affari Esteri non ci dà un riscontro positivo sull’esportazione di prodotti in India. Di conseguenza, non concediamo alcun permesso alle nostre aziende a questo proposito». Che significa: l’India è stata inserita nella blacklist turca dei Paesi ai quali la Turchia non intende vendere armi né qualsiasi articolo militare, e questo a causa non soltanto del sostegno turco, che dura da anni, all’islamico Pakistan, nemico numero uno dell’India di Modi, ma anche a causa della politica dell’hindutva, fortemente anti-musulmana, del governo indiano.

Come dicevo all’inizio, non vorrei addentrarmi nell’ardua impresa relativa a questa notizia (o a questo: si dice), ma soltanto prendere spunto per parlare delle prospettive turche (e indiane) a proposito di armi. Prospettive inserite in un quadro mondiale di corsa agli armamenti che continua a crescere.

Per quanto riguarda la Turchia, è importante considerare che l’autarchia militare propugnata dal presidente Erdogan fin dai suoi esordi (2002) si sta sempre più realizzando: in quanto a spesa militare, la Turchia è passata dai 7,22 miliardi di dollari del 2002 ai 16 miliardi del 2023, con una previsione di spesa 2024 di 40 miliardi. E secondo il rapporto Sipri 2024 avrebbe raggiunto l’undicesima posizione nel mondo come esportatore di armi. Nel 2016, l’industria della difesa turca dava lavoro a 35 mila persone; alla fine del 2022 erano diventati più di 80 mila. Ma il dato più significativo è che, secondo cifre diffuse dallo stesso governo turco, nell’ultimo anno la produzione militare nazionale ha raggiunto l’80% del “fabbisogno” di armi del Paese.

Quest’anno pare che le vendite di armi turche (erano 248 milioni di dollari nel 2002) supereranno il valore di 10 miliardi di dollari (contratti siglati con 185 Paesi per 230 tipi di armi e munizioni). Pur rimanendo in gran parte dipendente dall’estero per hardware e software militari, la spinta decisiva all’incremento di produzione e vendita di tecnologia militare turca sembra dovuta in discreta misura all’esportazione (in 30 Paesi, Ucraina compresa) di droni da combattimento, gli ormai famosi TB2 prodotti dalla Baykar dell’ingegner Selcuk Bayraktar, genero del presidente Erdogan.

Per quanto riguarda l’India, da sempre cliente militare della Russia (e in precedenza dell’Unione Sovietica fin dagli anni 60), si conferma come il maggiore acquirente di armi del mondo: il budget per la difesa è stato nel 2023 di circa 74 miliardi di dollari, che a quanto pare arriverà quest’anno vicino ai 100 miliardi. Quello dell’India è il terzo maggior budget di spesa per armamenti al mondo dopo Usa e Cina (che avrebbe speso nel 2023, secondo alcune fonti, circa 225 miliardi di dollari). Pur puntando anche l’India all’autarchia militare, è ancora molto lontana dal realizzarla. Per adesso sta cercando, in antagonismo con la Cina soprattutto per il controllo navale nell’indo-pacifico, di differenziare i suoi fornitori di armi ed avviare una produzione make in India. La Russia rimane comunque il suo maggior fornitore (36% delle importazioni indiane di armamenti).

Secondo i dati forniti a marzo scorso dal Sipri, così come li ha pubblicati Avvenire: in valore assoluto, i 15 Stati che nel 2023 hanno speso (in euro) di più sono, nell’ordine: Stati Uniti (860 miliardi, +2,3% rispetto al 2022), Cina (278 miliardi, +6%), Russia (102 miliardi, +24%), India (78,6 miliardi, +4,2%), Arabia Saudita (71,2 miliardi, +4,3%), Regno Unito (70,4 miliardi, +4,3%), Germania (62,8 miliardi, +9%), Ucraina (60,9 miliardi, +51%; inoltre ha ricevuto 32 miliardi di aiuti), Francia (57,6 miliardi, +6,5%), Giappone (47,2 miliardi, +11%), Corea del Sud (45 miliardi, +1,1%), Italia (33,3 miliardi, -5,9%), Australia (30,3 miliardi, -1,5%), Polonia (29,7 miliardi, +75%) e Israele (25,8 miliardi, +24%).

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