Le armi nucleari non sono la nostra salvezza. Ma è possibile metterle al bando?
Provate a immaginare una bomba nucleare fatta esplodere su Roma. La simulazione di una tale immane tragedia fa parte della mostra in programma fino al 26 maggio, proprio nella Capitale, presso lo spazio espositivo dell’ex Ospedale delle Donne a piazza San Giovanni in Laterano. La finalità dell’iniziativa non è quella di seminare terrore, ma di cambiare le coscienze, di «trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari», come recita il titolo della mostra organizzata dalla campagna Senzatomica promossa dall’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, sezione italiana di un’associazione laicale fondata nel 1930 in Giappone.
«La campagna Senzatomica, lanciata nel 2011 − ci dice il presidente Daniele Santi −, è frutto della volontà dei giovani di impegnarsi per il disarmo nucleare e sensibilizzare l’opinione pubblica sulla minaccia delle armi nucleari».
In questi anni Senzatomica ha organizzato diverse iniziative, anche in sede parlamentare. Oltre ad essere partner della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican) premiata con il Nobel per la pace nel 2017, collabora, in Italia, con la Rete italiana Pace e Disarmo.
Per cercare di conoscere meglio tale realtà attiva in Italia abbiamo intervistato Daniele Santi.
Come valutate la simulazione Plan B, diffusa in Rete, elaborata dall’università di Princeton, sulle conseguenze della guerra nucleare in Europa?
Le simulazioni di eventi nucleari, come quelle condotte dall’università di Princeton, mostrano le conseguenze devastanti che una guerra nucleare avrebbe sull’Europa. Queste analisi sottolineano la drammatica urgenza di un cambio di paradigma nei concetti di guerra e sicurezza.
Ritenete diffusa tra i decisori politici la convinzione dell’uso dell’arma nucleare tattica in grado di permettere il primo colpo capace di disarmare il nemico?
È preoccupante che possa ancora esistere la convinzione che le armi nucleari tattiche possano essere utilizzate per un “primo colpo” che disarmi il nemico senza gravi conseguenze. Tuttavia, il concetto di “Non primo uso delle armi nucleari”, sostenuto fortemente da figure come il maestro e filosofo buddista, presidente e fondatore della Soka Gakkai Internazionale Daisaku Ikeda (scomparso lo scorso novembre), offre una prospettiva fondamentale per ridurre il rischio di conflitti nucleari.
Sembra un concetto astratto…
Anzi. Proprio durante la crisi ucraina, Ikeda ha lanciato un appello per sottolineare l’importanza di un impegno internazionale verso il principio di “Non primo uso delle armi nucleari” che prevede che nessuno Stato utilizzi per primo tali armi in un conflitto. Adottare e rafforzare questa politica non solo servirebbe come misura di sicurezza, ma rappresenterebbe anche un passo significativo verso la de-escalation e il disarmo globale. Questo principio è vitale per spostare il discorso internazionale da una logica di deterrenza, basata sul timore e la minaccia reciproca, verso una politica di sicurezza collettiva basata sulla fiducia e la cooperazione.
Siete una delle rare realtà attive nel campo del disarmo nucleare. Da cosa nasce il vostro impegno?
L’impegno di Senzatomica deriva dalla convinzione che per superare l’era del terrore nucleare è essenziale combattere non solo contro le armi nucleari stesse, ma soprattutto contro il modo di pensare che ne giustifica l’esistenza. Questa mancanza di consapevolezza è spesso dovuta a un senso di impotenza che molti sentono riguardo le grandi decisioni politiche, percepite come distanti dalla vita quotidiana.
Di fatto esiste una diffusa mancanza di consapevolezza del pericolo mortale per l’umanità…
Ecco, noi vogliamo proprio invertire la tendenza a sentirsi impotenti di fronte al destino dell’umanità, per questo il payoff della nostra campagna è “trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari”. Il nostro messaggio è che non si devono avere qualità speciali per cambiare il mondo, ogni persona possiede un potenziale illimitato che può manifestare.
Esistono degli esempi da seguire?
Siamo convinti che ogni persona può decidere di informarsi e conoscere la paradossale deterrenza nucleare; essere ispirato dalla grande forza e determinazione degli hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e ai più dei 2.000 test nucleari effettuati nel mondo da parte degli Stati con armi nucleari, che hanno trasformato la loro disperazione in senso di missione; sapere dell’esistenza del Tpnw, la norma internazionale che rende illegali tali armi e che indica concretamente come eliminarle dalla faccia della Terra.
Si parla in qualche modo della guerra nucleare grazie al film di Nolan sulla figura controversa di Oppenheimer lasciando aperte molte domande…
Il film su Oppenheimer ha sollevato nuove discussioni sulle scelte fatte durante la Seconda Guerra Mondiale riguardo all’uso delle armi nucleari, mostrando sia le luci sia le ombre di queste decisioni storiche. Dalle giustificazioni iniziali degli scienziati del Progetto Manhattan, guidate dalla paura di una bomba tedesca, fino al tragico lancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, il film esplora la complessità morale ed etica di tali scelte.
Cosa ci dice la vita del padre della bomba atomica?
Oppenheimer ha lottato con le conseguenze del suo contributo alla creazione di armi di distruzione di massa, segnalando la sua trasformazione da fervente sostenitore a critico del loro ulteriore sviluppo. Questa riflessione ci porta a comprendere l’importanza di un approccio alla sicurezza che rispetti il valore intrinseco della vita umana, come sottolineato nelle riflessioni dei maestri buddisti Daisaku Ikeda e Josei Toda. Nolan utilizza la figura di Oppenheimer per porre domande profonde sul ruolo degli scienziati e dei leader politici nelle decisioni che possono determinare il destino dell’umanità. Questo dibattito aperto e onesto è cruciale per assicurare che le lezioni del passato informino le nostre scelte future, spingendo verso un mondo in cui armi così devastanti non siano più considerate necessarie né accettabili per la sicurezza globale.
Non vi pare che sia prevalente in tanti ambienti la tesi dell’efficacia della deterrenza nucleare? Si dice, ad esempio, che l’Ucraina ha ceduto le sue armi nucleari a Mosca in cambio della promessa di non essere invasa…
Quando l’Unione Sovietica si è sciolta nel 1991, sul territorio ucraino erano rimaste migliaia di testate nucleari ex sovietiche, oltre a centinaia di missili balistici intercontinentali e bombardieri, che l’Ucraina ha deciso di trasferire alla Russia. L’Ucraina non ha mai avuto un arsenale nucleare indipendente o un controllo su queste armi, ma ha accettato di rimuovere le armi ex sovietiche presenti sul suo territorio. Nel 1992, l’Ucraina ha firmato il Protocollo di Lisbona e nel 1994 ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare come Stato non dotato di armi nucleari. Il trasferimento di tutto il materiale nucleare ha richiesto un po’ di tempo, ma nel 2001 tutte le armi nucleari sono state trasferite in Russia per essere smantellate e tutti i silos di lancio sono stati disattivati.
Non è una dimostrazione dell’efficace della deterrenza nucleare?
Sebbene alcuni si chiedano se la Russia avrebbe comunque invaso l’Ucraina se quest’ultima avesse avuto ancora le armi nucleari sovietiche presenti sul suo territorio, ci sono esigue prove storiche convincenti che il possesso o la presenza di armi nucleari prevenga definitivamente un conflitto. Non è chiaro se l’Ucraina sarebbe stata in grado di prendere il controllo delle armi nucleari ex sovietiche, né tecnicamente né politicamente. Ma mi sembra evidente un altro fatto.
Cioè, cosa è così evidente?
Dopo il 24 febbraio del 2022 sappiamo che il possesso di armi nucleari da parte della Russia e degli Stati Uniti non ha chiaramente impedito la minaccia di un conflitto tra la Russia e un alleato degli Stati Uniti o le potenziali conseguenze umanitarie di un eventuale conflitto per i civili della regione. La minaccia delle armi nucleari è stata percepita e si è riaffacciata in modo concreto con lo scoppio della guerra in Ucraina. Inizialmente è stata sottolineata la gravità del ripresentarsi del pericolo di un escalation nucleare, ma nessuno ha fornito informazioni riguardo alla possibilità di azione e della responsabilità dei governi di eliminare questo pericolo che incombe da quando gli Stati hanno iniziato a dotarsi di armi nucleari. Probabilmente l’effetto principale e il più nefasto è che la complessità, la portata delle questioni legate alle armi nucleari e l’assenza di un dibattito pubblico su questo tema generano un diffuso senso di rassegnazione, la sensazione che la realtà vada al di là del nostro potere di cambiarla.
Cosa si può fare per contrastare questa rassegnazione?
Come già detto, troppe persone, negli Stati nucleari e in quelli dipendenti dal nucleare, pur non sostenendola attivamente, considerano la politica della deterrenza una necessità ineludibile per mantenere la sicurezza nazionale. Ma in realtà questa rassegnazione diffusa riguardo alla questione nucleare ha un effetto deleterio sulle fondamenta della società e sul futuro delle giovani generazioni. Per questo è fondamentale quando si comunica il rischio dell’uso di armi nucleari, presentare le azioni che possono realmente salvare l’umanità da questa terribile possibilità. In questo senso è fondamentale sensibilizzare sul Trattato sulla proibizione delle armi nucleari e approfondire un’idea di sicurezza che prenda in considerazione la natura interconnessa dei problemi globali attuali. La cosa importante è ispirare le persone a prendere consapevolezza delle proprie capacità e indirizzarle verso l’impegno personale, così da diventare persone che possano essere il punto di partenza di una reazione a catena di trasformazione positiva.
Putin continua a minacciare il possibile uso delle armi nucleari, ma alcuni esperti militari lo ritengono improbabile perché il loro impiego in Europa avrebbe conseguenze immediate anche sul territorio russo. Cosa ne pensate?
Il solo fatto che l’uso delle armi nucleari sia considerato come una possibilità richiede una risposta globale e un impegno rinnovato verso il disarmo nucleare, riconoscendo che la “fortuna” non può essere un fattore su cui contare per la sicurezza globale.
Fonti ufficiali del nostro ministero degli Esteri hanno affermato che l’Italia non può aderire al trattato del 2017 perché vincolata alla “dottrina nucleare” della Nato. Credete che esistano margini per discutere tale dottrina all’interno della Nato? Alla fine in chi continua a chiedere di aderire unilateralmente al trattato, non permane la tesi disfattista del “meglio rossi (oggi russi, cinesi…) che morti”?
Sebbene l’Italia sia vincolata dalle politiche della Nato, esistono studi e opinioni legali che suggeriscono come uno Stato membro della Nato possa aderire al Tpnw rispettando determinate condizioni. È fondamentale discutere e potenzialmente rivedere le dottrine all’interno della Nato, per allinearle a un’etica di sicurezza che rifiuti l’uso delle armi nucleari come accettabile o necessario. Per questo è nata la campagna “Italia, ripensaci” che da anni portiamo avanti insieme a Rete Italiana Pace e Disarmo proprio con l’obiettivo che l’Italia ratifichi il Tpnw.