Armi nel mondo e in Medio Oriente
A Stoccolma, ogni anno a inizio dicembre, non c’è solo la consegna dei Premi Nobel, ma viene anche pubblicato dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) il rapporto annuale relativo alla produzione e al commercio di armi nel mondo (Arms Transfers Database). Nel 2022, la spesa militare globale, incluso il commercio di armi, ha stabilito un nuovo record con una spesa valutata in 2.240 miliardi di dollari (ca. 2.077 miliardi di euro), e i titoli delle aziende del settore sono cresciuti del 34%. Solo in Europa l’incremento di spesa rispetto al 2021 è stato valutato intorno al 13%. Annata d’oro per i fabbricanti di armi, quindi, anche se con un leggero calo dei fatturati effettivi, perché le prospettive e gli ordinativi lasciano intravedere un aumento di almeno il 6% nei bilanci del prossimo anno.
E se la guerra in Ucraina ha fatto e continua a fare la parte del leone per quanto riguarda le armi, le prospettive aperte dal conflitto di Gaza inducono i fabbricanti di armi (aziende e governi) a “sperare” in un futuro che si annuncia più che roseo, a parte le spaventose conseguenze “collaterali” di morte e distruzione. Per la cronaca, a livello di Paesi produttori ed esportatori mondiali, la classifica vede ampiamente in testa gli Usa (come da consuetudine), che nel 2022 hanno stanziato per la spesa militare ben 877 md$ (miliardi di dollari) pari al 3,5% del Pil, seguita a distanza da una Cina in ascesa (292 md$, 1,6% del Pil) e da una Russia in discesa (86,4 md$, 4,1% del Pil). Seguono il podio dei primi tre, nella restante top 10, nell’ordine: India, Arabia Saudita, Regno Unito, Germania, Francia, Sudcorea e Giappone. L’Italia è “solamente” dodicesima (33,5 md$, 1,7% del Pil), dopo l’Ucraina (che ha investito nelle armi 44 miliardi di dollari, pari al 34% del suo Pil). Dopo vengono, dal tredicesimo al quindicesimo posto, Australia, Canada e Israele. Per quanto riguarda le vendite di armi e servizi militari, le 100 maggiori aziende produttrici al mondo hanno fatturato nel 2022 circa 549 miliardi di euro, con un calo del 3,5% rispetto al 2021. Ma, come si diceva in apertura, le prospettive per i prossimi anni lasciano intravedere un incremento significativo a breve termine.
Per limitare l’analisi al Medio Oriente, ed estrapolando i dati dal contesto mondiale fornito dal rapporto Sipri, sono 7 le maggiori aziende produttrici di armi nella regione: 3 israeliane e 4 turche. Queste 7 aziende hanno però fatto complessivamente registrare un aumento di fatturato (ca. 17 md$) dell’11% rispetto al 2021. A questi numeri vanno affiancati due dati indicativi ma non secondari: il primo è che 2 delle 4 aziende turche, Roketsan e Baykar (azienda legata alla famiglia del presidente Erdogan e produttrice dei droni più gettonati dagli ucraini, ma non solo), sono entrate per la prima volta nella top 100 mondiale delle aziende produttrici di armi; il secondo dato è che nessuno sa con precisione di quale entità e genere sia la produzione e la fornitura di armi dell’Iran (Paese produttore dei droni più gettonati dai russi ma anche sponsor dei missili usati dagli houthi dello Yemen e da Hezbollah del Libano).
In Medio Oriente, è la Turchia ad aver maggiormente incrementato la vendita di armi prodotte nel Paese, a motivo della guerra in Ucraina, agli ordinativi di Qatar, Emirati Arabi Uniti e Oman e per le forniture all’Azerbaijan nel conflitto contro l’Armenia per il controllo del Nagorno-Karabakh. Le 4 società turche, insieme, hanno superato i 5 miliardi di euro di entrate, il 22% in più rispetto al 2021. Per quantità di ricavi dalle vendite di armi autoprodotte restano comunque in testa, fra le aziende mediorientali, quelle israeliane: le entrate per le armi delle 3 società israeliane hanno raggiunto 11,4 miliardi di euro, il 6,5% in più rispetto al 2021.
Questi dati in crescita per armi autoprodotte dai 2 Paesi mediorientali lasciano intendere che l’enorme produzione mondiale dei grandi produttori e fornitori, comunque ampiamente presente nella regione, ha lasciato degli spazi alla crescita delle produzioni locali. È un dato che fa pensare e temere. Non solo per il Medio Oriente, ovviamente, ma come riflesso della tendenza al riarmo, all’espansione e all’incremento di intensità dei conflitti.
Guardando le guerre e i conflitti armati nella prospettiva della produzione e del commercio delle armi diventa più evidente la convinzione espressa più volte da papa Francesco di trovarci di fronte non tanto a conflitti isolati e problemi concomitanti, ma ad «una terza guerra mondiale combattuta a pezzi». Il 13 maggio scorso il Papa si chiedeva: «Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali? Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contribuito in maniera originale?».
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