Armi e guerra dopo le elezioni
Su cosa si baserà un eventuale nuovo accordo di governo in Italia? Se non sarà solo un periodo di decantazione, necessario per definire una nuova legge elettorale, cerchiamo di prestare attenzione ai contenuti più che ai boatos di Palazzo. Prendiamo, ad esempio, l’ultima votazione della Camera del 19 settembre 2017 che ha deciso di rigettare le mozioni a favore dello stop immediato all’invio di bombe dal territorio italiano verso l’Arabia Saudita che guida una coalizione militare impegnata nel conflitto in corso nello Yemen.
Una maggioranza trasversale tra Pd e centrodestra ha quindi ritenuto legittimo e conforme alla legge 185/90, che vieta l’invio di armi ai Paesi in guerra, l’esecuzione del rapporto commerciale tra i vertici sauditi e l’azienda italiana (Rwm Italia) che ha sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento produttivo a Domusnovas, vicino Cagliari, ma è di proprietà della tedesca Rheinmetall Defence. Il recente accordo di grande coalizione in Germania tra democristiani e socialdemocratici ha ribadito l’impegno a non inviare materiale bellico verso i Paesi coinvolti nel conflitto yemenita( neanche tramite stati terzi?). Anche la maggioranza del Parlamento europeo ha approvato più di una risoluzione in tal senso. Il che vuol dire che i parlamentari del Pd che siedono a Bruxelles e a Strasburgo hanno votato diversamente dai loro colleghi di Montecitorio, con rare eccezioni: Il deputato dissidente Giorgio Zanin non è stato rieletto nel suo collegio, così come il suo collega Paolo Cova che aveva invitato il suo partito al ripensamento in sede di dibattito in Aula. Anche, l’ormai per poco, viceministro agli esteri Mario Giro, noto esponente della comunità di sant’Egidio, su Avvenire ha espresso recentemente, dopo l’intervista durante la trasmissione televisiva Presa diretta, un giudizio di “inopportunità” circa l’invio dall’Italia di bombe all’Arabia Saudita.
Sono, ormai, fuori dal Parlamento Mauro Pili e Roberto Cotti, due parlamentari sardi che si sono fortemente esposti sulla questione ricevendo notorietà internazionale con il servizio video di denuncia delle “bombe italiane” promosso addirittura dal New York Times. Pili era stato eletto nel 2013 con il centrodestra ma aveva lasciato il Pdl per formare Unidos, un raggruppamento autonomo, mentre Cotti, che proviene dal movimento pacifista, non è stato ricandidato dal M5S per motivi che restano sconosciuti. A livello regionale, tuttavia, il M5S ha raggiunto alti livelli di consenso portando ad eleggere Pino Cabras, condirettore, con Giulietto Chiesa, di Megachip, sito molto attivo e critico verso le ragioni della guerra. Tra i suoi primi gesti pubblici si segnala la partecipazione all’iniziativa del 10 marzo che ha visto davanti al palazzo della Regione la presa di posizione a favore della conversione economica e lo stop alla produzione bellica da parte di tre sacerdoti cattolici in vista nella diocesi di Cagliari: don Angelo Pittau, presidente comitato marcia della pace, don Ettore Canavera, portavoce della tavola pace Sardegna, e don Antonio Mura, rettore del seminario regionale.
Ora che il M5S è il primo partito in Parlamento, sarà in grado di portare avanti in maniera propositiva quelle istanze sostenute finora dai suoi rappresentanti alla Camera e in Senato? Per il resto il panorama è tutto da scoprire. Sul fronte della sinistra, ridottissima nei numeri, non è stato rieletto il deputato Giulio Marcon, coordinatore dell’intergruppo parlamentare sulla pace, e candidato con Liberi e Uguali.
È chiaro che il caso delle bombe di Domusnovas, con tutta la retorica che vuole far cadere le contraddizioni sul solo territorio del Sulcis, è solo l’esempio più eclatante di scelte politiche nazionali. Ad esempio non si può ignorare il fatto che durante la recente visita del presidente turco Erdogan in Italia, uno degli appuntamenti cardine è stato l’incontro con i vertici di Finmeccanica Leonardo nel quadro di una tavolo di cooperazione a tre nel settore dell’industria della difesa tra Italia, Turchia e Francia. Come conferma la ben informata testata web Formiche, vicina al mondo di Confindustria, «da anni, la Turchia sta cercando di completare il proprio sistema Loramids (Long-Range Air and Missile Defense System). Lo farà probabilmente con il sistema missilistico terra-aria Samp/T (che usa i missili Aster 30), sviluppato da Eurosam che ha firmato a Parigi l’accordo insieme ai partner turchi Aselsan e Roketsan». L’Eurosam è appunto un consorzio italo-francese, così come Leonardo Finmeccanica concorre alla produzione degli elicotteri d’attacco T129 usati da Erdogan nell’operazione “ramoscello d’ulivo” scatenata contro i curdi nel nord della Siria. Come ha scritto Alberto Negri, esperto Ispi, «si delinea una Siria con molti carnefici e occupanti che hanno cancellato ogni linea di demarcazione tra il bene, il male e il meno peggio: rimane solo il male, a carico del popolo siriano, con una dose di cinismo senza eguali».
Davanti a tali scenari che ci rendono spettatori increduli e impotenti, a prescindere da un ruolo politico da riconquistare da parte dell’Europa, bisogna capire il posto del nostro Paese. È giusto oltre che legittimo armare Paesi in guerra, anche se sono alleati Nato come la Turchia?
Nel frattempo ad inizio 2018, recandosi a Tel Aviv, l’amministratore di Finmeccanica Leonardo , Alessandro Profumo, ha affermato che il rilancio internazionale del gruppo industriale controllato dal Ministero del tesoro italiano passa attraverso Israele, che «per noi è un partner di eccellenza: il Paese, le sue forze armate e le imprese giocano un ruolo chiave per Leonardo in molte aree differenti». Ad inizio di marzo il ministro della Difesa Roberta Pinotti si è recata in Qatar alla Dimdex 2018 (Defence International Maritime Exhibition and Conference), «importante appuntamento biennale al quale partecipano numerose imprese italiane che presentano il meglio della nostra industria e tecnologia per la difesa». Durante la visita la Pinotti ha presenziato alla firma del contratto tra il governo qatarino e Leonardo Finmeccanica per l’acquisto di 28 elicotteri NH90.
Mentre il “teatrino della politica”, come lo chiamano alcuni, va avanti con ampio spazio sui media, si compiono scelte decisive che dovrebbero investire la politica autentica, quella che decide come, cosa e per chi si produce.