Armi e conflitti dimenticati

Promosso dal Movimento dei Focolari un confronto aperto tra politici e associazioni presso le aule dei gruppi parlamentari a Montecitorio sull’invio dall’Italia di armamenti destinati ai Paesi in guerra. Il peso della finanza e le scelte di pace per un’economia da disarmare
AP Photo/Hani Mohammed

Perché l’Italia non osserva la legge 185/90 circa l’invio di armi nei Paesi in guerra, come il caso delle bombe spedite all’Arabia Saudita, destinate ad alimentare il conflitto in Yemen? Come valutare la scelta di Finmeccanica-Leonardo, partecipata dallo Stato, che cede pezzi della produzione civile per dedicarsi a quella militare? Perché il nostro Paese ospita sul territorio italiano 70 bombe atomiche statunitensi pur aderendo al trattato internazionale di non proliferazione nucleare?

Sono questi gli interrogativi che hanno guidato il convegno promosso ieri dal Movimento dei Focolari in Italia,in collaborazione con Città Nuova, presso l’Aula dei gruppi parlamentari di Montecitorio sul tema “Scelte di Pace. Riconvertiamo l’Economia che Uccide”.

Domande chiare che richiamano la politica e la società italiana alle proprie responsabilità, alla trasparenza e alla risoluzione di contraddizioni evidenti. Uno spazio di confronto – proprio nel cuore delle Istituzioni – che ha visto la partecipazione di parlamentari di diversi schieramenti politici, di associazioni come Amnesty International, Pax Christi ed Economia e Felicità, Rete della Pace, Istituto di Ricerche internazionali Archivio Disarmo e di Banca Etica.

L’istanza di fondo proposta a tutte le parti vuole il passaggio dalla cosiddetta “economia che uccide”, che causa e perpetua l’esclusione e l’iniquità e getta le basi del conflitto permanente, ad una “economia della pace” che si orienti verso scelte nuove nel campo della finanza e dell’industria.

Un’esigenza a cui più volte ha dato voce anche papa Francesco, che – ha ricordato in apertura dell’incontro Silvio Minnetti, Presidente dell’Movimento politico per l’Unità – ha definito la guerra come “la scelta per le ricchezze”, e i signori della guerra come “maledetti” e “delinquenti”, rimarcando l’esigenza di ascoltare il grido di chi soffre.

In risposta agli appelli di Francesco, l’incontro ha inteso essere un passo concreto sulla strada verso una conversione integrale dell’economia stessa capace di incidere sulle cause strutturali dell’iniquità e della guerra: le disuguaglianze, la povertà, il mercato delle armi, il petrolio e la forza invisibile delle banche.

Le parole di Igino Giordani, deputato e cofondatore insieme a Chiara Lubich (di cui si è ricordato ieri il 9° anniversario della scomparsa) del Movimento dei Focolari, chiamato alle armi nel 1915, hanno segnato il clima dell’incontro. In “Memorie di un cristiano ingenuo” scriveva:

“Vedevo l’assurdità, la stupidità, e sopra tutto il peccato della guerra. (..) Il Vangelo, meditato già abbastanza, m’insegnava, come dovere inseparabile, di far del bene, non di uccidere; di per­donare, non di vendicarmi”.

In questa cornice il convegno ha preso le mosse dall’aspetto umanitario. Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty International, ha descritto il dramma del popolo yemenita piagato da due anni di conflitto: “la situazione è tragica a causa dei bombardamenti da parte dell’Arabia Saudita appoggiata dal Regno Unito. Almeno 3 milioni di persone non hanno casa né rifugio, 2 milioni di bambini non sanno dove andare, 34 sono gli attacchi aerei che hanno colpito circa 12mila persone fra morti e feriti, ed è documentato l’uso di bombe a grappolo vietate dal diritto internazionale. Sono stati arruolati 1500 bambini-soldato, spesso impiegati nei check-point con i kalashnikov in mano. Ad oggi in Yemen non c’è un posto sicuro”.

Quindi il richiamo immediato alle responsabilità della politica, anche quella degli ultimi governi italiani, per il mancato rispetto – si è detto – della legge 185/90 che regolamenta la produzione, il commercio e il transito di armamenti verso Paesi in guerra o che violino i diritti umani.

È acclarato ormai – sostiene Rete Disarmo – che da ottobre 2015 l’Italia ha inviato migliaia di bombe e sistemi militari in Arabia Saudita, destinati al conflitto in Yemen, condotto – tra l’altro – senza alcun mandato da parte delle Nazioni Unite: diversi carichi sono partiti dall’aeroporto civile di Cagliari e altri imbarcati dai porti di Cagliari e Olbia su navi commerciali, sempre diretti alla base dell’aeronautica militare saudita di Taif.

Spedizioni avvenute in orario notturno o in condizioni che favorissero la segretezza delle operazioni. Gli ordigni vengono prodotti dalla RWM Italia, azienda tedesca con sede legale nel bresciano e stabilimento in Sardegna, a Domunovas, nell’area povera del Sulcis.

Dopo diverse richieste di chiarimento al governo italiano, e in mancanza di risposte chiare, Rete Disarmo ha presentato un esposto alla Procura di Roma chiedendo di avviare indagini sulla violazione della legge 185/90. Maurizio Simoncelli, Vicepresidente dell’organismo, entrando fra le maglie della legge, ha osservato che ciò che è imputabile al governo italiano è soprattutto il mancato coinvolgimento delle Camere, il cui parere, prima dell’invio, comunque eccezionale, l’esecutivo è tenuto a chiedere. Inoltre – ha osservato – l’Italia è fra i maggiori esportatori di armi: al 7° posto nel periodo 2000-2016, e la fetta maggiore, pari al 35,72%, è diretta in Medio Oriente, soprattutto in Arabia Saudita e Kuwait.

Don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, ha evidenziato le contraddizioni della narrativa di governo: “per il 2017 l’Italia ha stanziato 23 miliardi per le spese militari, 2,6 milioni di euro al minuto, e gli F35 che produciamo costano 130 milioni l’uno. E poi dicono che non ci sono soldi per disabili, esodati e turbine per la neve”. Insieme con Caritas, ha aggiunto, Pax Christi ha “firmato un impegno per il “no” alle armi nucleari in Italia e non collabora con banche coinvolte nel traffico delle armi”.

La presenza di bombe atomiche sul suolo italiano costituisce un’altra violazione del diritto internazionale. Nel 1975 l’Italia ha ratificato il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, impegnandosi “a non ricevere da chicchessia armi nucleari né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente”. Tuttavia mantiene sul proprio territorio, tra Aviano (PN) e Ghedi (BS), almeno 70 bombe Usa, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. Bombe che tra circa due anni verranno sostituite con modelli più distruttivi, sganciabili a distanza e con capacità penetranti anti-bunker.

C’è poi un altro elemento – si è osservato – a condizionare il sistema: il ruolo silenzioso delle cosiddette “banche armate”, quelle che finanziano le industrie che producono armi.

In questo senso  era presente all’incontro Alfredo Scognamiglio a rappresentare la scelta del  Movimento dei Focolari di promuovere una mobilitazione consapevole dei cittadini in favore delle banche virtuose, per esempio attraverso i “BankMob”.

Come è stato annunciato più voltre durante i lavori della mattinata il Movimento dei Focolari sostiene, come scelta di consumo critico,  l’apertura di conti correnti con Banca Popolare Etica e con altri istituti bancari, come ad esempio le Banche di credito cooperativo che offrono la garanzia di non essere collegate con gli affari legati alla produzione e commercio di armi.  Una scelta, afferma Scognamiglio, in continuità con le  origini del Movimento, nato storicamente sotto le bombe della seconda guerra mondiale.

La discussione ha avuto come interlocutori diversi interlocutori politici. Dal deputato Mauro Pili di Unidos al sentaore Roberto Cotti del M5S. Giorgio Zanin e Francesca Bonomo del Pd, Massimo Artini, vicepresidente della commissione Difesa ed esponente di Alternativa Libera, assieme ai deputati Stefano Fassina di Sinistra italiana e Luca Frusone  del M5S.

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