Armi chimiche e missili. Ci risiamo

Di nuovo spirano venti di guerra in Siria. Obama tentenna, ma la spirale delle armi è ormai lanciata, difficile interromperla. Ma, per quanti esperti ci si mettano per giustificarla, la guerra è sempre stupida
Il segretario di Stato Usa John Kerry

Ci risiamo. Non sono bastate la lezione afghana, quella doppia irachena e quella libica per impedire che nella pancia dei governanti, così come nella mente dei militari e nelle tasche dell’industria bellica e dei commercianti d’armi, si risvegliasse il demone della soluzione sbrigativa dei missili per un conflitto drammatico che la diplomazia non è riuscita a disinnescare in tempo.

Ancora una volta – il copione sembra mancare di fantasia – si agita lo spettro delle armi chimiche e biologiche: nel 2003 era stato Colin Powell a brandire all’Onu la fialetta contenente dell’antrace, mentre oggi è il suo successore alla segreteria di Stato Usa, John Kerry, a preparare il terreno: «Il numero delle vittime riportato – ha detto –, i sintomi riferiti, i racconti da parte di organizzazioni umanitarie sul terreno indicano che queste immagini sono un urlo nei nostri confronti, sono state utilizzate armi chimiche in Siria».Uso di armi chimiche da parte del regime di Assad, ovviamente, anche se ci sono non poche testimonianze di uso delle stesse sostanze da parte dell’opposizione. Così, se la fialetta di Powell era un imbroglio, non ci sono ancora prove sufficienti per dire che Assad, e solo Assad, ha fatto uso di armi giustamente bandite dalla comunità internazionale.

Ancora una volta si guarda all’immediato, alle proprie opinioni pubbliche (Francia e Gran Bretagna in testa), ai propri problemi di immagine e di autorevolezza interna per spargere tossine belliche in Paesi che avrebbero solo bisogno di concertazione e diplomazia. Paesi che avrebbero bisogno di cultura e supporti all’educazione piuttosto che di ogive e di droni. È molto, ma molto più facile sganciare missili che mettere in piedi programmi di assistenza economica e civile.

E poi, proprio nel momento in cui il Medio Oriente vive una transizione pericolosissima ma nel contempo ricca di prospettive incoraggianti e proprio quando il mondo arabo si confronta finalmente con i problemi di uguaglianza, libertà e fraternità, incontro auspicato da tutto l’Occidente da decenni, ecco che si smarrisce il senno e il buon senso, danneggiando ulteriormente l’immagine dei nostri Paesi in una regione che avrebbe bisogno di noi, che reclama una nostra presenza intelligente e aperta, non più da coloni o, forse peggio, da gendarmi del mondo.

Ultimo elemento che apre altri enormi interrogativi: nonostante non si possa appoggiare e tantomeno giustificare la politica e le azioni del presidente Assad, per certi versi dittatoriali e assolutamente non trasparenti, l’eventuale dopo-Assad è e rimane un enorme rebus: è impreciso e confuso come lo erano le prospettive post-dittatoriali in Afghanistan, Iraq e in Libia. Sappiamo bene che le armi non risolvono i problemi di fondo se non ci sono prospettive plausibili per il futuro: non basta pensare che le “elezioni democratiche” possono cambiare un Paese che non ha la democrazia elettiva nei propri geni, non si può esportare la democrazia, e tantomeno imporla con le armi.

Sullo scenario siriano, per giunta, l’opposizione appare quanto di più complesso e incontrollabile si possa immaginare, con mercenari e gruppi qaedisti, sunniti legati ai Fratelli musulmani dell’Egitto, milizie legate a rais locali… Le prospettive sono peggiori che nello stesso Iraq. Tutto ciò sapendo che la guerra tutta interna al mondo musulmano tra sunniti e sciiti è al culmine della sua virulenza: lo spostamento di un tassello può far cadere l’insieme, in un effetto domino imprevedibile.

Nonostante tutto ciò, si vuole aprire un nuovo fronte. Ma la guerra è sempre «stupida», come diceva Igino Giordani.

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