Armi all’uranio impoverito, una verità negata
Il governo britannico ha annunciato che invierà in Ucraina munizioni all’uranio impoverito, capaci cioè di perforare i tank russi.
La notizia, oltre a fornire un ulteriore conferma del progressivo innalzamento dello scontro bellico, tocca un tasto dolente nel nostro Paese dove sono state promosse ben 4 commissioni parlamentari di inchiesta sugli effetti dell’uranio impoverito. Un sottoprodotto dell’uranio, facilmente reperibile a basso costo come scarto delle centrali nucleari e utilizzato in diversi ambiti tra cui quello bellico.
L’ultima commissione parlamentare presieduta dal deputato del Pd, Giampiero Scanu, si è conclusa nel febbraio 2018 con una relazione finale che attestava la scoperta di «sconvolgenti criticità̀ nel settore della sicurezza e della salute sul lavoro dei militari in Italia e nelle missioni all’estero, che hanno contribuito a seminare morti e malattie».
Scanu ribadisce tuttora in diversi interventi che «di uranio impoverito si muore. Lo dice la tragica realtà fattuale, registrata nel nostro Paese: circa 400 militari morti ed 8000 ammalati, in quasi tre lustri, senza considerare gli immensi danni all’ambiente».
Le risultanze dell’inchiesta hanno ricevuto forti critiche dai vertici delle forze armate e l’intera materia è oggetto di forte contenzioso grazie all’Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito costituita in larghissima parte dai militari che sono stati esposti al contatto con l’uranio impoverito.
Il minerale, in sé, non sembra particolarmente pericoloso, secondo gli esperti, a meno che non prenda fuoco per disperdersi in micro particelle come avviene con l’utilizzo in campo bellico.
La contabilità provvisoria dell’associazione riporta i numeri citati da Scanu: almeno 8 mila persone, tra militari e civili italiani, «che si sono ammalati di patologie oncologiche durante o al rientro dalle missioni in teatri operativi di Iraq, Bosnia, Kosovo, Somalia, Afghanistan. Circa 400 sono i deceduti».
Il padre francescano Jean-Marie Benjamin è stato tra i primi a denunciare gli effetti negativi dell’uranio impoverito sulla popolazione irachena sottoposta ai bombardamenti statunitensi della guerra del 2003.
Le conseguenze della tossicità di tale materiale sono emerse in maniera eclatante anche con riferimento all’uso, da parte della Nato, di munizioni con uranio impoverito durante il conflitto del Kosovo del 1998-1999 nell’ex Jugoslavia.
In generale è conosciuta come “Sindrome dei Balcani” l’insieme di una serie di patologie che hanno colpito i militari italiani di ritorno da quest’area di intervento delle nostre forze armate in operazioni di vario tipo.
Anche i poligoni militari sono stati un vettore di contaminazione di sostanze tossiche tra cui l’uranio impoverito. Tra le indicazioni espresse dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Scanu vi era la necessità di chiudere i poligoni presenti in Sardegna per avviarli, con risorse adeguate, ad una riconversione ambientale che tenesse conto di decenni di contaminazione di Capo Teulada (CA), Capo Frasca (OR) e Perdasdefogu-Salto di Quirra. Località che rimandano a vasti dossier che restano da gestire da parte della politica nazionale oltre che dalla magistratura.
Gian Piero Scanu non siede più in Parlamento dopo aver concluso, tra l’altro, i lavori di quella commissione nel 2018.
A proposito della fornitura di armi annunciata dal governo britannico, l’ex deputato ci ha rilasciato una dichiarazione dove auspica che il governo italiano si attivi per invitare Londra a recedere dalla decisione di inviare a Kyiv «proiettili perforanti che contengono uranio impoverito». Un’iniziativa che potrebbe avvenire anche a seguito di un provvedimento parlamentare per operare una «convinta “offensiva di persuasione”, sia in ambito Ue che Nato».
Secondo Scanu «l’Italia dovrebbe attivarsi per convincere i propri partners dei rispettivi organismi, della insostenibilità etica e politica di una scelta che, ineluttabilmente, oltre a seminare morte e distruzione in Ucraina, attiverebbe un pericoloso innalzamento del livello di scontro bellico. C’è bisogno di un sussulto di consapevolezza che favorisca una sana “impennata” della diplomazia mondiale, e non di nuovi strumenti di morte».
La guerra in Ucraina, tuttavia, ha acuito il clima di scontro di fronte all’orrore che si trascina da oltre un anno. Sui media si sono levate in questi giorni posizioni che invitano a relativizzare l’effetto delle munizioni contenenti l’uranio impoverito. L’ex corrispondente Rai da Londra, Antonio Caprarica, ha parlato su La 7 di “armi normalissime” mentre secondo Luca Romano, grande sostenitore dell’uso di energia nucleare in Italia, intervistato da Il Giornale si tratterebbe di un tipo di arma tra quelle comunemente in dotazione a diversi eserciti, primo tra tutti quello russo, che «non presenta rischi aggiuntivi di tossicità rispetto alle altre armi».
Quanto agli effetti nocivi dimostrati dalle gravi patologie contratte dai soldati nelle guerre balcaniche, Romano riconosce l’incidenza di malattie superiori alla media, ma Romano non ritiene che ne sia dimostrata la relazione causa-effetto con l’esposizione all’uranio impoverito perché «purtroppo nei Balcani è stata utilizzata ogni sorta di schifezza. Dalle mine antiuomo alle armi chimiche fino al fosforo bianco, le cause di quelle malattie sono probabilmente altre».
Affermazioni che allargano il campo delle responsabilità dei comandi militari di quel periodo ma che suscitano forti contrarietà da chi, come Scanu, ha lavorato, tra mille difficoltà, per portare a termine una commissione d’inchiesta in grado di indicare «dati e riferimenti oggettivamente riscontrati tali da condurre alla dimostrazione del cosiddetto “nesso di causalità” esistente fra l’esposizione all’uranio impoverito ed alcune gravi o letali patologie a dispetto delle menzogne spudorate che, con disumano cinismo, vengono ancora propalate».