Aristides de Sousa, un giusto per il nostro tempo

Console portoghese nella Francia occupata dai nazisti mise in salvo migliaia di ebrei disobbedendo alle direttive del governo dittatoriale di Salazar. La stretta attualità di una coerenza di vita pagata duramente
de Sousa Giusto tra le nazioni Foto Ambasciata Portogallo

Non aveva neanche un vestito Aristides de Sousa Mendes quando morì in povertà il 3 aprile 1954 a Lisbona. Per la sepoltura lo rivestirono con un saio francescano. Il secondo conflitto mondiale era finito da tempo e il Portogallo, tra l’altro, era stato uno dei pochi a restare formalmente neutrale, pur essendo saldamente governato per 35 anni da un regime di tipo fascista, ma di marca tradizionalista cattolica incarnata dal presidente del consiglio e dittatore António de Oliveira Salazar (1889-1970).

Si conosce poco del Paese lusitano collocato di fronte all’oceano Atlantico, nell’estremo occidente dell’Europa. Grande potenza coloniale, attraversata come la Spagna da forti correnti culturali anticlericali e massoniche e da notevoli spinte reazionarie, ma anche da suggestioni di tipo messianico sull’attesa di un “quinto impero” portoghese destinato a governare in pace il mondo intero.

Anche il Portogallo ha il 25 aprile come Festa della Liberazione che si è realizzata, in quel Paese, nel 1974, con l’abbattimento del regime sopravvissuto alla morte di Salazar, grazie alla pacifica “rivoluzione dei garofani” promossa da giovani militari contrari alla nefandezza dei crimini colonialisti.

È in tale contesto che possiamo cogliere la vicenda esemplare di quell’uomo morto in povertà 20 anni prima della Liberazione dalla dittatura perché, da console del suo Paese a Bordeaux, obbedì alla propria coscienza invece che agli ordini del regime durante la fase concitata, dal 1939 al 1940, dell’avanzata delle truppe naziste in Belgio e Francia.

Di fronte alla massa delle persone in fuga che si riversavano presso le sedi diplomatiche estere per trovare rifugio e un canale legale per poter espatriare, il governo di Salazar emise una famigerata circolare per impedire il lasciapassare a determinate categorie di profughi: «stranieri di nazionalità indefinita, contestata o disputata; apolidi; ebrei che sono stati espulsi dal Paese di origine o dallo Stato di cui hanno la cittadinanza». Arrivare in Portogallo voleva dire poter partire per cercare salvezza nelle Americhe.

Aristides, nato nel 1885, proveniva da una ricca famiglia cattolica di cultura conservatrice e monarchica, un’appartenenza di classe sociale che gli permise, assieme al fratello gemello, di fare studi universitari per ricoprire il ruolo di diplomatico presso sedi importanti in Belgio e Francia mentre la sua vita familiare veniva allietata dall’arrivo impegnativo di 13 figli.

Una tranquillità e sicurezza personale che potevano usare la circolare governativa come uno scudo alla propria coscienza, con la giustificazione di essere costretto ad obbedire agli ordini venuti dall’alto per il maggior bene del suo Paese. Ma il console portoghese di Bordeaux ragionò in maniera diversa. «Se devo disobbedire – disse –, preferisco che sia agli ordini degli uomini piuttosto che agli ordini di Dio». In pochi giorni, lavorando giorno e notte, cercò di salvare più vite possibili dando precise direttive al suo ufficio di dare «visti a tutte le persone, senza riguardo a nazionalità, razza o religione», esentando completamente dalle spese chi non aveva risorse per pagare i costi amministrativi.

Mise in piedi una squadra dove coinvolse anche i suoi figli più grandi e alcuni ebrei, tra i quali il rabbino di Anversa Jacob Kruger, fino a quando le autorità di Lisbona gli imposero di lasciare il consolato e di tornare in Portogallo per essere licenziato, privato del diritto di esercitare come avvocato e anche della patente di guida.

Ma anche mentre veniva accompagnato da alcuni funzionari giunti da Lisbona per prenderlo in consegna, usò tutta la sua autorità per continuare a rilasciare visti alle persone in fuga accompagnandole personalmente sul posto di frontiera spagnolo per ovviare ad ogni problema burocratico. La sua determinazione permise di salvare migliaia di profughi destinati altrimenti ai campi di sterminio nazista.

Paradossalmente Salazar rivendicò, a guerra finita nel 1945, il merito del suo Paese per aver salvato gli ebrei in fuga dalla persecuzione antisemita, senza tuttavia riconoscere i meriti di Aristide De Sousa, che rimase senza lavoro e con la tristezza di vedere i propri figli costretti, per sopravvivere, ad emigrare a loro volta dal Portogallo.

La sua figura pubblica è stata riabilitata solo dal governo di Lisbona nel 1988, mentre dal 1966 il suo nome compare tra i Giusti delle Nazioni riconosciuti dallo Yad Vashem, l’ente nazionale israeliano per la Memoria della Shoah.

La testimonianza del console portoghese di Bourdeaux è una luce per il nostro tempo in cui si rischia di rimuovere lo sguardo e l’attenzione verso il cumulo di violenza insensata che trova giustificazioni di ogni tipo, di carattere religioso o fondate sul realismo politico.

Colpisce che a chi gli chiese perché aveva sacrificato la sicurezza personale e dei suoi cari, Aristides rispose che «se migliaia di ebrei stanno soffrendo a causa di un cristiano [Hitler], sicuramente un cristiano può soffrire per tanti ebrei». Non bisogna, infatti, dimenticare che nonostante la natura idolatrica dell’ideologia nazista non furono pochi i credenti che obbedirono convintamente agli ordini del Fuhrer seguendo il motto teutonico “Got mitt uns – dio con noi”. Un uso blasfemo delle parole che continua a ripetersi.

L’esempio di Aristides de Souza è un monito potente, infine, se pensiamo agli ordini esecutivi che ad ogni latitudine vengo emessi per fermare l’arrivo di chi chiede rifugio e rischia di essere espulso ingiustamente mentre chiede di essere riconosciuto nella sua umanità.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons