Argentina: punto e a capo
Con l’elezione del presidente Néstor Kirchner l’Argentina inaugura un nuovo capitolo della sua storia recente o continua quello iniziato alla fine del 2001? È quanto si domandano gli stessi argentini. Un interessante discorso programmatico ed una manciata di misure d’urgenza prese dal governo, pur se azzeccate, non bastano per una valutazione seria. Non ci si fanno troppe illusioni quando si è abituati ad allettanti promesse elettorali, puntualmente dimenticate dai governi succedutisi in questi anni. Neppure quando 20 milioni di argentini (il 57 per cento della popolazione) sono poveri e, di questi, 10 milioni sono indigenti; quando il 20 per cento dei lavoratori è disoccupato ed un altro 20 per cento è sottoccupato; quando l’inflazione erode un 30 per cento del già magro stipendio; e quando il debito estero è 1,7 volte il prodotto interno lordo (Pil). Eppure, beneficio d’inventario a parte, la presidenza di Kirchner ha suscitato attese e speranze. L’immagine positiva è forte, il 79 per cento ha approvato le linee che ha tracciato per il suo governo. Che dire poi del potenziale appoggio del 70-80 per cento degli elettori che l’avrebbero votato se Carlos Menem, suo contendente, non avesse rinunciato al ballottaggio? La speranza che si stia aprendo una nuova era si fonda su questo dato di fatto: Kirchner rappresenta possibilmente la fine dell’egemonia di Menem. Una egemonia segnata in economia da un modello neoliberale spinto ad oltranza ed in politica dalla corruzione e dall’intrallazzo. A questo elemento di speranza, bisogna poi aggiungerne almeno altri due: il nuovo presidente pone fine alla lista di presidenti ad interim succedutisi lo scorso anno, il che avalla la speranza di una riforma politica sostanziale, sempre annunciata ma mai messa in atto dal suo predecessore Duhalde. Solo annunci? Il discorso di Kirchner, nel giorno della suo giuramento, ha gettato le basi di una svolta a 180 gradi rispetto alle politiche dei suoi predecessori. Kirchner ha infatti delineato uno stato con un ruolo fortemente attivo: “Il mercato organizza economicamente, ma non articola socialmente; bisogna far sì che lo stato crei uguaglianza, là dove il mercato esclude ed abbandona”. Il ricorso agli investimenti attraverso un programma di opere pubbliche (case ed infrastrutture), allo scopo di aumentare aumentare l’impiego, il consumo interno ed il risparmio, la riforma del sistema tributario e la lotta all’evasione, al posto delle stangate fiscali, ed i tagli alla spesa, saranno i cavalli di battaglia sul piano economico. In politica estera per Kirchner “non ci saranno allineamenti automatici ” né con l’Europa, né con gli Usa. Ma sarà “strategica” l’alleanza con Brasile, Uruguay e Paraguay, i soci del Mercato Comune del Sud (Mercosur), ed una priorità sarà data “alla costruzione di una America Latina, stabile, prospera e unita”. Anche qui siamo agli antipodi rispetto alla linea seguita durante gli ultimi 12 anni. I prossimi mesi costituiranno un banco di prova importante. Inizieranno infatti i negoziati col Fondo Monetario Internazionale per la questione del debito estero. Al riguardo, Kirchner sostiene che “non si tratta di non adempiere, di non pagare. Ma nemmeno possiamo pagare” per le necessità di base della gente (vedi box). Un accordo dignitoso ed equo eviterebbe al governo di continuare a sottrarre risorse essenziali, da immettere nell’asfittica economia nazionale, restituendo la credibilità internazionale persa con la cessazione dei pagamenti. Non solo. Ma potrebbe anche essere l’occasione di rimettere in discussione la legittimità di un debito estero in odore di usura. Non sarà facile. Si sa che da questo orecchio l’Fmi non ci sente. Nel frattempo, le numerose emergenze che riempiono l’agenda di Kirchner rappresente- ranno ulteriori esami: dalla fame alla disoccupazione, dalla sicurezza pubblica alla salute, dalla casa all’istruzione. Uno di questi l’ha superato appena due giorni dopo essersi trasferito alla Casa Rosada, risolvendo lo sciopero di 18 mila insegnanti della provincia di Entre Ríos, che da mesi non vedevano un soldo. A nessuno sfugge che il nuovo governo è erede di un sistema politico e istituzionale poco trasparente, all’interno del quale spesso regna la corruzione. Per affrontarla, Kirchner dovrà usare la stessa grinta che sta dimostrando in campo economico, se vorrà procedere al risanamento morale di cui il paese ha bisogno. Le stelle, direbbe Cronin con milioni di argentini, staranno a guardare. Integrazione regionale Ma la nuova fase che sta iniziando l’Argentina va letta anche in chiave regionale. Essa succede di pochi mesi alla elezione del presidente brasiliano Ignacio Lula da Silva. Entrambe hanno manifestato ampie coincidenze in quanto a politica estera: rilancio del processo di integrazione del Mercosur (che ha segnato a lungo il passo), impulso a una America Latina forte ed unita, collaborazione con Usa, Europa ed altri blocchi, ma su un piano di parità e di mutuo rispetto. Ci sarà anche un asse Brasilia-Buenos Aires? Per lo storico uruguayano Alberto Methol Ferré, “pensare ad una integrazione sudamericana che prescinda dal Brasile e dall’Argentina è pura utopia”. E che l’intesa tra Lula e Kirchner vada al di là delle dichiarazioni di principio lo dimostra il prestito di un miliardo di dollari, che il Brasile ha concesso all’Argentina quando il secondo era ancora in lizza per la presidenza. In effetti, si tratta delle due più forti economie regionali (quella del Brasile è l’ottava del mondo). Una sintonia tra le due diplomazie potrebbe creare le basi di un blocco sudamericano, al quale hanno già manifestato adesione praticamente tutti i presidenti del subcontinente. Un sogno di matrice “bolivariana” mai sopito nello spirito dei popoli della regione. Una iniziativa del genere, tra l’altro, rimetterebbe in discussione i termini della proposta di un’area di libero commercio americano (Alca). Proposta tanto cara a Washington, ma finora più subita che accettata per le evidenti asimmetrie che presenta. Infine, in materia di debito estero – inevitabile problema per ognuno dei paesi latinoamericani -, Argentina e Brasile devono insieme circa 500 miliardi di dollari. Una posizione finora di debolezza, la loro, ma che potrebbe capovolgersi completamente in sede di negoziato. UN NEGOZIATO CHIAVE Come succede nel caso di vari paesi del Terzo mondo, il debito estero argentino, in realtà, non è pagabile. Il suo ammontare complessivo attualmente è di circa 170 miliardi di dollari, una somma pari a 1,7 volte il Pil argentino, che non arriva ai 100 miliardi di dollari. Le scadenze, soprattutto gli interessi, comporterebbero una fuoriuscita di circa 12 miliardi di dollari annuali. Una cifra equivalente a circa 36 miliardi di pesos argentini, praticamente il 50 per cento del bilancio dello stato che, quest’anno, prevede entrate per 67 miliardi di pesos. Destinare cifre simili per pagare in realtà solo gli interessi del debito, senza mai diminuire il capitale (fino al crac, l’erario stornava il 20 per cento delle entrate annuali per questo fine) rappresenta, nel Terzo mondo, una condanna a morte perché sottrae risorse essenziali a settori delicati come la sanità e l’assistenza sociale. Secondo l’economista Alfredo E. Calcagno, se fossero stati applicati tassi di interesse normali, l’Argentina avrebbe già estinto il suo debito.