Argentina in trionfo
Trentasei anni dopo l’epopea di Diego Armando Maradona, l’Argentina del calcio torna a salire sul tetto del mondo. E anche stavolta, come allora, c’è un “10” portato in trionfo che ruba la scena di fotografi e telecamere, in istantanee che probabilmente non sono neanche proprio casuali. È un mancino più o meno della stessa altezza e dallo stesso innato talento cristallino, che da ieri ha ufficialmente vinto ancora più del mitico “d10s” deceduto appena due anni fa: Lionel Andrés Messi Cuccittini, detto Leo. Se l’Albiceleste centra il terzo titolo mondiale, non può che rivolgere soprattutto a lui, trascinatore assoluto, nonché miglior giocatore del mondiale con 7 reti e 3 assist, il suo imperituro ringraziamento. Basti pensare che nessuno, nella stessa edizione di un Mondiale, aveva segnato indistintamente ai gironi, agli ottavi, ai quarti, in semifinale e in finale.
Messi è il primo e unico al mondo a riuscirci. Immenso. E forse, adesso, davvero il più grande calciatore della storia se non altro per la longevità di una carriera iniziata da campione e finita da campionissimo, in un arco di 15 anni intriso di Champions League e Pallone d’oro, senza contare coppe e campionati, seppure in una squadra sempre stellare: quel Barcellona di cui ha vestito la maglia per una vita, che lo fece anche curare e crescere lontano da complicazioni di salute da adolescente. E che “la pulce” pluridecorata ha lasciato clamorosamente un anno e mezzo fa: ma questa è un’altra storia e forse l’unica grave nota stonata in una carriera inarrivabile e che forse resterà tale per chiunque dopo di lui nel calcio.
Non è tuttavia “un’altra storia” invece il frangente video in mondovisione in cui, nel sollevare la Coppa del Mondo, Messi ha indossato un Bisht, mantello tradizionale del golfo Persico (e non solo): simbolo di prestigio, regalità e ricchezza, è stato posto sulle spalle del capitano argentino dall’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani. Nulla di strano, se non fosse che è l’emiro è il proprietario del fondo sovrano di circa 600 miliardi di euro che gestisce anche il Paris Saint Germain, che poi è anche la squadra di Messi e del fuoriclasse dirimpettaio della finale, Kylian Mbappè, capocannoniere del Mondiale con 8 reti, capace di siglare una tripletta in finale, seppure insufficiente alla sua Francia, oltra a un altro penalty nella lotteria finale dei rigori. Per la serie: se l’Argentina ha vinto, gli sceicchi qatarioti hanno stravinto con un giro di sponsor, popolarità (anche se scandalosa per più ragioni) e un incremento del valore dei loro giocatori clamoroso.
Di fronte a questi inquietanti valori finanziari, ai 6500 morti in 12 anni di lavori negli stadi, alla corruzione emergente anche ai vertici del Parlamento europeo per coprire le “magagne” di questi Mondiali sotto Natale, i risultati sembrano comunque sbiadire mestamente. Passa in secondo piano forse anche una delle finali più belle di sempre, un 3-3 pirotenico deciso solo ai rigori. Nonostante per 79 minuti l’Argentina abbia letteralmente annullato la Francia, sembrata sempre fuori partita e in stato di confusione a cominciare dal suo allenatore Deschamps che, sul 2-0, maturato con un rigore di Messi e un contropiede da manuale del calcio finalizzato da Di Maria, senza neanche attendere i supplementari, escludeva già dal match il centravanti milanista Giroud e l’ala del Barcellona, Dembelè (frustrato per avere causato il primo penalty argentino), ecco che all’80° un ingenuità di Otamendi consentiva a Mbappè di realizzare il rigore, prima che il fenomenale 23enne già campione del mondo nel 2018 siglasse anche il pareggio al volo due minuti dopo con una girata angolata da antologia. Ai supplementari, ancora Mpabbè pareggiava il vantaggio trovato da Messi su altra pregevole manovra offensiva sudamericana, mentre alla lotteria dei rigori la Francia si arrendeva. La gara è sembrata un crocevia tra due fuoriclasse dominanti: è agli sgoccioli, tra fasti e celebrazioni, l’era di Messi; è già iniziata quella del giovane compagno di squadra al PSG, Mbappè, a un passo dal clamoroso bis mondiale in 4 anni.
Ma ora, il paragone tra Messi e Maradona torna prepotente, anche sulle strade di Napoli che nella serata di domenica pareva a tratti Buenos Aires a festa, omaggiando la “reincarnazione calcistica” dell’amato Diego. Per la verità, pendono già a favore di Messi statistiche inoppugnabili, anche se il carisma (e le gravi miserie umane) di Diego resteranno di altra epica rispetto a Messi nel grande romanzo popolare che è il calcio. Perché il calcio è sì un rito sacro, come scriveva Pasolini, ed evidentemente un “D10s” non vale l’altro.
Resteranno anche le tante lacrime della “Scaloneta”, ossia “la scalata di Scaloni”, tecnico non poco emotivo dell’Argentina campione. Gli avevano affidato l’Argentina ad interim in un momento difficile ma lui, ex calciatore ma con nessuna esperienza da allenatore (era stato vice sia con il Siviglia che con la nazionale di Jorge Sampaoli), era riuscito a convincere un Messi sconfortato dall’ennesima delusione in nazionale a tornare in nazionale: ne era scaturita la Coppa America 2021. Ora il Mondiale e la gloria immortale, insieme a un gruppo di giovani senza troppe pretese ma fedelissimo a Messi e alla causa, contando sul talento del campionissimo Di Maria, rientrato appositamente per fare la differenza anche in questa finale. E a fare parte della stessa magica storia, senza mai scendere in campo ed essere convocato, il Sergio Agüero, costretto ormai al ritiro da un problema cardiaco: vicino al gruppo fin dall’inizio, il “Kun” ha dormito insieme a Leo Messi prima della finale, entrando in campo a festeggiare insieme al gruppo al fischio finale. Questa coppa è anche di Agüero, l’uomo in più di Scaloni, genero peraltro di quel Maradona che oggi certamente ride da lassù più che mai e che, da ora in poi, vedrà forse un erede più grande di lui segnare gli archivi della storia del calcio.
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