Argentina 1985

Dopo alcuni mesi su Prime video arriva in sala il film di Santiago Mitre sul processo contro i generali della dittatura. Vederlo fa un gran bene
Argentina 1985
Un cartellone pubblicitario promuove il film "Argentina 1985", a Buenos Aires, Argentina, giovedì 20 ottobre 2022. (AP Photo/Natacha Pisarenko)

Non perderlo, assolutamente. Non è uno dei soliti processi contro mafie, trafficanti di droga e delinquenti seriali. Ma la realtà di un genocidio che si è compiuto non molti anni fa nell’ignoranza colpevole di tanta gente – non solo argentina – che non ha voluto vedere o sapere. Anche da noi, in Italia, è successo qualcosa del genere: indignazione momentanea e poi ci si è persi dietro alle favole del consumismo.

Il regista argentino nel film che alla mostra veneziana hanno visto in pochi dice una cosa che tutti sappiamo e alla quale spesso facciamo finta di non pensare: la dittatura esiste, e fa vittime, uccide, sotto l’apparenza della legalità. Anche la dittatura del conformismo, del pensiero unico e labile. Migliaia sono le vittime in Argentina in un processo ancora in corso, perché si tratta di una vera “strage degli innocenti”. Il racconto evangelico si ripete lungo i secoli anche oggi, quando vorremo finalmente aprire gli occhi sui genocidi che si vanno compiendo nel mondo e anche vicino a noi.

Tutto ha inizio quando due giudici istruttori aprono il processo contro l’ex presidente Videla – che va a messa ogni domenica – e nove generali che avevano governato col pugno di ferro la nazione. Minacce, rapimenti, torture, uccisioni, sparizioni: un collage di dolore terribile. I due giudici devono superare difficoltà personali, incomprensioni e pressioni, si fanno aiutare da un team di giovani brillanti e idealisti. Lottano contro le minacce reali, per salvare i loro familiari e per dare corso alla giustizia. Soffrono. Julio, il giudice istruttore – un grandissimo Riccardo Darin – non molla: anche suo figlio più piccolo lo aiuta, pure la moglie, che prima non credeva troppo in questo marito ”orso”, che i colleghi chiamano “loco”, pazzo per la sua testardaggine.

Le settimane per raccogliere le prove sono poche, si lavora nell’ansia, con la televisione di stato poco favorevole al processo, il nuovo presidente dal carattere “pilatesco”. Ma il giudice Julio non demorde e lotta. La cosa bella del film è che lui non si sente un eroe, ma semplicemente uno che fa il suo dovere di uomo, di servitore del “paìs”. Come da noi Falcone e Borsellino ed altri. Eroi sono per noi che restiamo a guardare, ma gli onesti non si sentono tali. Nemmeno il giovane avvocato di famiglia militare di destra, incompreso dai suoi ma che poi fa aprire gli occhi alla madre. Agli altri, no.

Questo film è un omaggio a coloro che cercano la verità e si battono per essa, superando la paura, le minacce. Una scuola di vita che costruiscono giorno per giorno. Uno dei momenti forti del film (breve, per fortuna) è dato dalle testimonianze di donne e uomini violentati, torturati con un sadismo immorale – la politica non c’entra in queste crudeltà –, da gente ancora a piede libero, anzi qualcuno è un primario di ospedale. Come i nazisti, insomma. Sono scene drammatiche che contrastano con il gelo marmoreo degli imputati che non ammettono i delitti, anzi: sono mummie del male. La memorabile arringa del giudice Julio con un «Nunca mas», cioè “Mai più” è ancora attuale. Perché la strage degli innocenti non è finita.

__

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
_

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons