Archiviata l’inchiesta sul disastro della Marmolada

Il gip del tribunale di Trento ha deciso di non procedere con l'inchiesta su eventuali responsabilità per il crollo di ghiaccio e sassi avvenuto il 3 luglio 2022, che sarebbe stato "imprevedibile". Mentre si apre un'altra estate potenzialmente a rischio
(Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico via AP)

La sentenza era in realtà attesa da chi la montagna la frequenta e la conosce: il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento, Enrico Borrelli, ha deciso per l’archiviazione dell’inchiesta sul crollo del seracco che ha provocato 11 vittime il 3 luglio scorso sul ghiacciaio della Marmolada. Il giudice si è basato sulle perizie depositate dai prof. Carlo Baroni dell’Università di Siena e Alberto Bellin dell’Università di Trento, unitamente ad altri tre docenti universitari e ad un ricercatore del Cnr; in base alla quale il crollo sarebbe da considerarsi imprevedibile.

«La temperatura non avrebbe causato il crollo e neppure avrebbe di per sé dovuto allarmare, attesa l’assenza di segnali premonitori osservabili macroscopicamente – hanno riportato i periti -. Il peggioramento delle condizioni del ghiaccio è un fattore rilevabile a posteriori e ciò contribuisce a confermare l’ipotesi di una imprevedibilità dell’evento». Anche i pubblici ministeri trentini Sandro Raimondi e Antonella Nazzaro lo scorso 13 gennaio avevano chiesto l’archiviazione, motivandola con il fatto che «neanche gli esperti della zona – guide alpine e frequentatori della Marmolada – hanno avvertito condizioni anomale idonee a far presagire l’accaduto e il cambiamento climatico non può costituire di per sé ragione o criterio».

E chi frequenta la montagna, in effetti, lo sa: certo esistono dei segni di rischio che un occhio esperto può cogliere, ma specie il ghiaccio si comporta in maniera perlopiù imprevedibile. Andare in ghiacciaio significa dunque accettare la possibilità di non poter dire a priori se un certo seracco terrà, se si aprirà un crepaccio sotto i nostri piedi, qualunque sia la temperatura in quel momento. Anche tutti gli elementi indicati come causa del distacco – in particolare le crepe e i torrenti che scorrevano sotto il ghiaccio – non sarebbero stati visibili dalla superficie, motivando di conseguenza eventuali divieti a frequentare la zona o quantomeno l’emissione di avvisi di rischio.

Polemiche di questo tipo, in realtà, ritornano puntualmente ogni volta che accade qualche incidente nelle giornate in cui il bollettino valanghe (che però viene emesso solo nella stagione invernale, e quindi comunque a luglio non ci sarebbe stato) riporta un grado elevato di pericolo: anche in quel caso non esiste alcun impedimento legale a calzare sci e pelli di foca e salire in montagna, però lo si fa sapendo che si potrebbe rimanere sotto – e che i soccorritori, almeno in linea teorica (perché in realtà molti eroicamente lo fanno), non metteranno a repentaglio la propria vita per venire a salvare noi. Esiste dunque un’assunzione di responsabilità del singolo insita nel frequentare la montagna, che – come hanno fatto notare molti alpinisti all’indomani della tragedia, quando era stata interdetta la frequentazione del ghiacciaio – va al di là di qualsiasi divieto che possa essere imposto dalle autorità.

Significative in questo senso le parole di Davide Carinelli, finito in coma e poi risvegliatosi un mese e mezzo dopo la tragedia,riportate dal quotidiano L’Adige: «Mi sono trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non do la colpa a nessuno per ciò che è successo. Quindi è giusto che sia stata archiviata questa vicenda».

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