Aquiloni sul Golfo
L’ultimo romanzo del medicoscrittore Artini sorprende tanto è diverso dal precedente L’ultimo nemico (v. Città nuova n. 9/2003). Lì una prosa visuale, anzi visiva, di carattere quasi cinematografico – avevo invocato l’interessamento di Avati, o, più, di Olmi -, qui un’immersione nella realtà quasi ipertrofica, un urto iperrealistico, rimanendo sì il carattere visuale della prosa, ma accentuandosi quasi dolorosamente lo shock del contatto con le cose; come quando inciampi e ti spacchi un labbro contro il selciato, accorgendoti bene della sua materiale realtà. È chiaro che non è, qui come altrove, la realtà a spiegare la realtà, come credono equivocando tutti gli ingenui naturalisti; per far diventare verità la realtà ci vogliono molte labbra spaccate, le proprie, intendo, non quelle delle sanguinarie scene degli horror da ridere (e piangere); e le proprie, per uno scrittore, significano il proprio soffrire la realtà, il proprio stile, la propria scrittura. Che infatti Artini tira e stira, giocando tra terza e prima persona con inquieta dinamica interiorizzante, e aggravando le cose con inserzioni in corsivo di meditazione morale manzoniana, cantucci di osservazionegiudizio, diciamo, per stare ai tempi, di men-watching. Pietro Martini è un archeologo sospettato di spionaggio in un Emirato arabo del Golfo, dopo la prima guerra, ed è tenuto a galla dal suo amico diplomatico Paolo. Nella quarantena che deve subire può guardare e pensare molto. Guarda come l’homo crudelis abbia preso ancora una volta il sopravvento sull’homo sapiens, pensa a come si possano mettere in dialogo civiltà e religioni. Forse ne sa più il cane che già all’inizio sembra dirgli: Di che cosa ti lamenti? , e che poco dopo scodinzola con un sorriso; ma gli uomini sono più duri e ottusi, ti incastrano quando sei inconsapevole e ti puniscono quando sei innocente. Allora ci vuole questa prosa visuale e traumatica da documentario hard, oltre i generi letterari del passato, in modo che gli uomini almeno se le spacchino, le labbra, se non sanno usarle per la pace. Allora, quando la realtà appare un corpo a corpo convulso con le cose della vita, sono esse, le cose, a parlare, perché sono molto più vicine ai pensieri di quanto questi non lo siano alle cose. Allora Dio stesso si intravede, pur nascosto, sotto le infinite miserie e sopra i ridicoli tribunali degli uomini. L’eroe avrebbe voluto essere ciò che il suo autore cerca, di essere, uno scrittore delle profondità , invece è un archeologo senza pace, che deve sempre fare i conti con i conflitti etnico-religiosi e con le guerre che trova in superficie e poi mettersi a scavare e ad interpretare le impronte dell’arte, dei riti e delle battaglie che sono state risparmiate dal tempo; mentre la sua vita privata, quella degli affetti, non si decide all’usurante prova quotidiana, e lui ha l’anima girata verso 1’interno. Forse per questo ha la balzana idea di acconsentire a tentar di fuggire, col risultato che la realtà, prima picchiettante come un caleidoscopio sui suoi occhi, ora lo tempesta di fatti che lo travolgono in un divorante vortice. Né lo hanno consolato molto i libri del teologo apocalittico-pessimista Sergio Quinzio, portati con sé. Solo la memoria delle sofferenze di chi ha incontrato, l’essere testimone del tragico rimescolarsi della storia forse in uno slancio positivo di integrazione, ma con innumerevoli vittime dell’odio e del terrore, può non far smarrire le tracce, quasi gli odori di Dio; anche se poi Artini deve morire – pacificarsi – durante la festa degli aquiloni, e senza sua colpa, entrando finalmente nella dimensione ultima di Dio che è al di là di ogni colpa e di ogni illusione terrena. Artini ha scritto un bel romanzo internazionale, interculturale e mediorientale, febbrile di vita e di morte tra fondamentalismi e perfidie del potere, e impensabili risvolti d’ogni colore e valore della povera umanità sballottata dalla storia, anzi dalla cronaca. E appare persuaso, l’autore, che i nostri prossimi cruciali nodi storici non eviteranno il grande confronto, (non quello, misero, bellico) con l’Islam.