Aprire i negozi di domenica

Se ne discute a Bari, per la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare “Liberaladomenica”, promossa da Confesercenti e Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro
negozi

A proposito di negozi ed esercizi commerciali, in questi giorni si discute l’opportunità di tenerli aperti anche di domenica per aumentare i consumi e rilanciare l’economia della nazione attaccata dalla crisi. A questo scopo il governo ha disposto con la legge 201/2012, detta “decreto salva Italia”, dallo scorso 1° gennaio, la liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura dei negozi – appartenenti al settore alimentare e non alimentare – di ogni dimensione, piccoli esercizi “di vicinato”, esercizi della media e grande distribuzione, bar e ristoranti.

Antonella, dipendente di un negozio di moda del centro di Bari, mi racconta della sua difficoltà nel gestire la famiglia con turni di lavoro che includono anche la domenica. Nella loro attività sono solo in tre, con un carico di lavoro che supera le loro oggettive possibilità. E’ vero che, con l’attuale decreto, i negozi possono decidere se restare aperti o meno, ma quando la maggioranza degli esercizi sceglie di aprire di domenica, restare chiusi diventa un elemento discriminatorio, che per effetto della concorrenza può diventare penalizzante.

In questo circolo vizioso, è ovvio che chi ha più possibilità di assumere personale extra o sopportare il carico di lavoro dell’apertura  straordinaria, risulta più competitivo e vincente. Ma a farne le spese sono proprio le piccole imprese ed esercizi, che sebbene abbiano prodotti di qualità, non reggono la concorrenza con le attività di medie dimensioni e con la grande distribuzione, che può contare su un’economia di livello superiore.

Un ulteriore elemento discriminatorio per le imprese cittadine è rappresentato dal fatto che l’apertura dei negozi di domenica non è sufficiente a garantire l’affluenza dei consumatori, perché se gli enti locali non investono nella riqualificazione dei centri urbani, nel rafforzamento dei servizi di trasporto, nell’arredamento delle vie principali, nell’animazione delle città, i centri commerciali restano vuoti, generando quella desertificazione che le associazioni di categoria già denunciano.

Nei centri commerciali periferici, l’offerta di svago domenicale e di divertimento è di gran lunga superiore, tanto da essere scelta come meta domenicale da molte famiglie. E’ anche vero che non tutte le aree della città sono mete turistiche. A Bari ad esempio le periferie non hanno la necessità di tenere i negozi aperti per i turisti. Ma è sempre vero che con l’apertura domenicale dei negozi crescono i consumi? Ammesso che la soluzione alla crisi stia anche nell’aumento dei consumi, i dati dicono di no.

Infatti dalle statistiche diffuse da Confesercenti Puglia a Bari il 14 novembre, nell’ambito della conferenza stampa di presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare “liberaladomenica”, in collaborazione con l’Ufficio Regionale Pastorale Sociale e del Lavoro della Puglia, apprendiamo da che “il saldo tra le aperture e le chiusure dei negozi nella provincia di Bari tra l’1gennaio 2012 e il 30 settembre 2012 è negativo, facendo registrare 606 attività in meno. Il dato scorporato della sola città di Bari è peggiorativo, afferma Beniamino Campobasso, presidente di Confesercenti Bari, con un saldo nello stesso periodo di 197 aziende in meno.

«Ecco perché nei prossimi giorni si avvierà la raccolta delle firme anche presso le sedi provinciali e territoriali di Confesercenti e presso le imprese collegate sul territorio pugliese – aggiunge il presidente regionale di Confesercenti Ottavio Severo –, per cui contiamo di raggiungere l’obiettivo delle 50.000 firme in breve tempo».

Il punto su cui sia la Chiesa sia l’associazione di categoria sono d’accordo è quello di regolamentare le aperture e le chiusure delle attività, facendo dipendere l’apertura domenicale da un carattere di eccezionalità legata alle esigenze di calendario e non ad una regola.

«Infatti – aggiunge Don Matteo Martire in rappresentanza dell’Ufficio Regionale Pastorale Sociale e del Lavoro, presente alla conferenza stampa –, la posizione della Chiesa non è quella di vietare l’apertura dei negozi di domenica in assoluto, ma di renderle compatibili con le effettive esigenze di imprenditori, consumatori e famiglie. L’intento è quello di tutelare le relazioni familiari, nell’unico giorno di riposo dal lavoro e di saper rispettare i tempi dell’uomo. Lo sviluppo economico non può essere prevalente rispetto al bisogno antropologico di riposo dell’uomo, grazie al quale lo stesso può dedicarsi meglio al lavoro stesso. Per questo a breve saranno predisposti dei banchetti, anche sul sagrato delle chiese di tutte le diocesi, luogo simbolico di incontro tra l’uomo e Dio, per la raccolta di firme utili al referendum cittadino».

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