Appunti sanremesi

In anticipo di qualche giorno rispetto al solito, è decollato il Festival più chiacchierato degli italiani. Un amore-odio che ci portiamo appresso dai primi anni Cinquanta e che, un po’ per nostalgia un po’ per abitudine, non riusciamo ad abbandonare. Ieri sera la prima delle cinque serate
Sanremo

Si è già beccato del democristiano questo povero Festival. Vuoi per la quasi concomitanza col nuovo Presidente della Repubblica, vuoi per il profilo basso che accomuna entrambi (l’uno per indole, lo show per mancanza d’alternative o di coraggio), vuoi perché di questi tempi è preferibile giocare di rimessa piuttosto che partire lancia in resta.

Di certo c’è che i tempi delle polemiche feroci e dei dualismi con X Factor e talent vari sono ormai senza senso: ormai è assodato che questi servono a lanciare, e il Festivalone a consacrare (uno su mille ce la fa, direbbe Morandi) o più spesso a disincagliare carriere arenate.

Okay, tutto sommato un’equa suddivisione dei compiti e dei target; anche se in termini di ritorni, i talent viaggiano ancora a gonfie vele e Sanremo arranca ogni anno di più. I motivi sono stati fin da ieri sera sotto gli occhi di tutti: uno spettacolo educato, ma troppo prevedibile e noioso, un cast e un copione in ritardo d’almeno trent’anni; del resto Sanremo, al pari dei talent, è oggi più che mai, una formula di spettacolo costruita ad immagine e somiglianza del proprio pubblico di riferimento: là i teenagers, e qui le nonne e i divanizzati terminali.

Detto questo, la prima razione di sbobba ci ha detto che le grandi canzoni hanno ormai tutt’altri domicili (e quando pure sono passate di qui è stato quasi sempre per caso, e ben di rado per calcolo); che le grandi voci necessitano di forgiature che il nostro show-business non sa o non può più offrire, e che la tivù nazional-popolare non è più il luogo per andare a caccia di personaggi dotati d’autentico carisma. Certo non è giusto fare d’ogni erba un fascio, esistono anche in quest’edizione – come del resto sono sempre esistite – rare eccezioni degne di scampare ad un immediato oblio, ma il succo è questo.

Il Festival di Sanremo è all’edizione numero 65. Giusto l’età della pensione: beato lui, vien da pensare: ché la sua bella carriera l’ha fatta, che le sue stagioni ruspanti se l’è vissute alla grande, ché la sua brava pagnotta (leggasi ascolti) in un modo o nell’altro l’ha sempre portata a casa, perfino nei suoi anni peggiori; beato lui che nessuno s’è mai pensato d’esodarlo.

E allora che pretendere di più da questo sorridente pensionato imbolsito? Certo non di ringiovanire e tanto meno di voler sembrare giovane (ché a ‘sto punto sarebbe patetico), certo non di farsi da parte (in questo deve solo continuare a rispecchiare certa politica), piuttosto che dimagrisca un altro po’ e soprattutto la cortesia di non spacciare per meraviglie le sue paillettes colorate: ché anche l’Italia che gli sta intorno non è più quella ingenua e piena di speranze che ne accompagnò i primi gorgheggi.

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