Appunti sanremesi. O della restaurazione

Chiude battenti il Festival della canzone italiana: ascolti col botto per Carlo Conti che porta a casa il miglior risultato degli ultimi dieci anni. Al trio Il Volo la vittoria fra i big, davanti al favorito Nek e a Malika Ayane
Il Volo

Così anche questa 65a edizione se ne va in archivio con un ultimo pieno d’ascolti: ieri il 54 per cento di share, oltre 11 punti in più della scorsa edizione. È stato un festivalino toscanocentrico – e come avrebbe essere potuto essere altrimenti, di questi tempi? – pacioso come un pensionato dal futuro sereno, ma noioso e prevedibile come ogni istituzione costruita più per sé stessa che per chi deve fruirne: un’estenuante ribollita televisiva che, se non altro, abbiamo buttato giù senza costiparci più di tanto.  

Tutto sommato va bene così, tanto più che da domani, uscita dalla sua consueta apnea annuale, l’Italietta nostra ritroverà ben altre discussioni e problematiche a riempire le prime pagine, e mi sa che potremo perfino rimpiangere le sbrodolate di superlativi e gli entusiasmi ridenti del bravo presentatore di turno.

Che dire? Sanremo è sempre – ed ancora – Sanremo: infinite sfumature di grigio sedimentate negli anni, ma anche un ecosistema perfezionato attraverso piccoli aggiustamenti annuali: prima il ritorno al live, poi l’orchestra, e via via i super ospiti italiani, le cover dei classici, il venerdì consacrato ai giovani; la ricetta è più o meno la stessa da anni: cambiano solo le minuterie, le taglie e le frattaglie: tant’è che la partita ormai si gioca più sulla varietà dei contorni che sulla fragranza delle pietanze.

In questa specie di pianetino alieno e marginalissimo, equidistante come Plutone dalla Libia e da Copenaghen, dai barconi mediterranei, dalla Grecia e dall’Ucraina, come ogni anno c’è chi gongola e chi ne scappa con le ossa rotte. Alla prima categoria, appartiene ovviamente il giovane trio vincitore, ennesima ed estrema incarnazione del melodismo italico più tradizionalista, ma anche più esportabile; han di che esser contenti anche Nek che si rilancia alla grande, e la Ayane che consolida la propria credibilità d’interprete, così come è facile prospettare un futuro gravido di soddisfazioni anche per il neo-divo per casalinghe Giovanni Caccamo (a conferma che madama Caselli non ha perso il suo proverbiale fiuto, per quanto io scommetterei anche sull’avvenire di Amara, la più votata dal web); è andata benissimo anche per  i redivivi Al Bano & Romina, la coppia più finta e coccolata del mondo, ma soprattutto a Carlo Conti, il capo-cuoco di cotanta abbuffata, che tuttavia nicchia quando gli si chiede di fare il bis l’anno prossimo. Ma c’è anche chi dall’Ariston n’è uscito male o malissimo: gran parte dei comici di professione e degli stilisti, per esempio; i vari Raf, Tatangelo, Fabian e tanti altri comprimari o carneadi che speravano di (ri)lanciarsi senza il necessario carburante, la Nannini e le sue stecche impietose. Ha perso chi sperava che in questo Festival si riflettesse la parte migliore del Paese e non quella capace soltanto di sfruttarne le eccellenze (e le deficienze) quando gli fa gioco.

Detto che ben difficilmente le canzoni messe in vetrina sapranno reggere l’impatto coi mercati, resta da aggiungere che le cose migliori questo festival le ha messe in mostra a notte fonda: come i bravissimi Imagine Dragons, quartetto statunitense del quale sentiremo parlare ancora a lungo, lo stralunato Rocco Tanica e la simpatica accoppiata zelighiana di Marta & Gianluca di ieri notte, fra i pochi che siano riusciti a far ridere sul serio: a differenza dei tanti che si son presi così sul serio da farsi ridere dietro.

Ad maiora (anche se da queste parti sarà tutt’altro che facile).

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