Apparizione al bar
II cane che ho in condominio con mio cognato è stupido, poveretto. Infatti quando gli indico qualcosa non la guarda, guarda il mio dito proteso. Ma ho l’impressione che non ci siamo ridotti molto più intelligenti noi, che quando la televisione ci fa vedere qualcosa, invece di guardare quel qual cosa (cioè analizzarlo, giudicarlo), guardiamo la televisione. È in televisione, L’ha detto la televisione, come un tempo si diceva: Sta scritto, È Vangelo. L’effetto di incretinimento generale non può non essere molto forte. Mi ha stretto il cuore, infatti, una povera ragazza che disperatamente ha dichiarato: noi non esistiamo, esistono solo quelli che appaiono in televisione, attori, cantanti, politici, solo loro! Una delle cose di cui più vado fiero, invece, in famiglia, è che senza nessuna proibizione o pressione da parte mia, la televisione è guardata sempre meno: mia moglie dice di essersi disintossicata da serial e filmetti, ora per riposarsi legge o lavora in casa (!); mio figlio diciottenne ha dichiarato: In televisione non c’è niente di vero – All’ottanta per cento, ho corretto io preoccupato del suo assolutismo pessimista ma fiero del suo istinto per la verità. È da tempo che l’Europa lavora alla propria demoralizzazione, diceva Kierkegaard centocinquant’anni fa guardando al superficialismo della franante borghesia cristiana, e alla riduzione e dissoluzione giornalistica della sua cultura. Purtroppo è proprio così, basta vedere con quale accanimento si rimane attaccati con le unghie e con i denti alla chiacchiera: superficialismo o morte! E la televisione, di per sé mirabile strumento di verità, bene, bellezza (proprio così, potenzialmente) si trasforma, all’ottanta per cento, siamo generosi, in seduzione alla banalità, alla mediocrità, all’allineamento in basso. Il risultato è un piattume di volgarità diffusa e pervasiva, impalpabile e irrespirabile più delle polveri sottili che tanto ci preoccupano a livello polmonare. Un giorno entro nel bar vicino casa, ci sono quattro-cinque uomini, uno con in mano la tazzina di caffè che resterà a mezz’aria. Il padrone del bar mi fa: L’ho vista in televisione. Avete presente Caravaggio della Vocazione di Matteo? Tutti si voltano di tre quarti, come tarantolati, o caduti sulla via di Damasco. Mi ricordo allora di un’intervista fattami molto tempo fa, e contemporaneamente mi viene, vorrei che il lettore lo condividesse, un accoramento feroce e desolato nei confronti del popol disperso che nome non ha. Sono apparso in un bar come una teofania. Qui finisce la parte comico-disperata dell’articolo, ma a testimoniare che la disperazione è a sua volta sormontata da una tremenda opposizione senza cedimento, il lettore paziente mi consentirà dieci righe di ordinata morale della favola. È mai possibile che la primogenitura della dignità sia stata rivenduta così, per molto meno di un piatto di lenticchie? È mai possibile che continuiamo a barattare il dono dell’essere con le quattro perline di vetro dell’apparenza, o apparire? È mai possibile che i panem et circenses, che duemil’anni fa almeno erano gratis e invece oggi sono a pagamento di canoni televisivi, ci abbiano resi tutti così vuoti di testa? È mai possibile che il baccanale delle libertà più sofistiche e capricciose ci abbia resi così smemorati da non ricordare nemmeno più lontanamente che l’unica libertà che conta radicalmente per un uomo è il suo rapporto non con la televisione ma con Dio (qualunque rapporto, purché ci sia), che è l’unico assoluto e perciò relativizza tutto il resto, fino a ridurre giustamente il mondo con le sue chiacchiere a una bollicina, che continuamente, paff!, scoppia nell’eternità? P.S. Ieri sono stato in lavanderia. L’ho vista in televisione. Lei fa il critico?. Sì ho risposto, ma forse sarebbe meglio che facessi il barista o il lavandaio a secco, ho pensato.