Apostolo di laboriosità
L’ ala nord del Louisiana Museum di Copenhagen, capolavoro di struttura modernista a picco sulla costa danese dell’Oresund, presenta una geniale iterazione tra architettura, parco, natura, degli architetti Wilhem Wolhert e Jorgen Bo. Si tratta di un dialogo atipico con lo stile tradizionale del minimalismo giapponese, l’Architecture Bay di San Francisco, l’approccio fenomenologico di Alberto Giacometti, in riferimento al secondo Heidegger e alla kere.
Proprio la struttura minimalista colpisce l’occhio a prima vista. Alberto, definito da Poul Erik Tojner, “apostolo di laboriosità”, distrugge e ricrea, corregge e quasi tormenta i suoi lavori, senza mai rinunciarvi. Nei suoi pezzi possiamo seguire le tracce del suo lavoro, le ferite e le cicatrici della battaglia. Questo il senso del mistero che molti avvertono in Giacometti, qualcosa di profondamente arcaico e allo stesso tempo brutalmente moderno, tipico della condizione di fragilità esistenziale e di dramma.
Alberto esprime nel 1959 l’impotenza e il senso di disorientamento nel dominare la realtà, lo scacco, l’impossibilità di arrivare a mettere le mani sul visibile. Descrive un uomo fragile, interrogato da una realtà che lo trascende. Frequenta André Breton, Jean Paul Sartre, Maurice Mereleau- Ponty, Samuel Beckett. Nel 1961 scolpisce un albero per lo stage di En Attendant Godot. Arbres del 1918, disegno a inchiostro su carta, prefigura tutto il cammino verticale di Alberto secondo l’esegesi di Enzo Bianchi. Il tronco corto esce dalla terra e i suoi lunghi e larghi rami spogli quasi fuoriescono dal foglio. Nel fitto degli alberi si ritrova la luce, filtrata attraverso e oltre l’orrore, soprattutto l’inaudito orrore umano del Novecento prefigurato, i campi di sterminio di Hitler e la bomba atomica sganciata senza esitazione sul suolo giapponese, che ha torturato l’anima di Beckett.
A seguito della circolazione delle nuove idee di Einstein e di Heisenberg sulla “Teoria della Relatività” e sul “Principio di Indeterminazione”, Alberto scompone il concetto di tempo alla ricerca del tempo interiore, irrelato rispetto al tempo dell’orologio ma congiunto a quello analizzato ne I Dati Immediati della Coscienza del 1889 di Henri Bergson. La ricerca psicoanalitica contemporanea che sfocia nella scoperta dell’es, io, super io ed erlebnisse, influenza il lavoro di Alberto nella sua impossibilità di arrivare a mettere le mani sul visibile, in un percorso che dall’ occhio alla mano impegna tutto il corpo, l’esistere stesso e la sua passione. Michel Leiris ci dona un’acuta interpretazione dell’opera di Alberto come rivolta verso l’esterno, una corazza contenente amore e proiettata nello spazio, un modo in cui il mondo interno si rapporta con l’esterno. Alberto dichiara la sua impossibilità ad esprimere tutta l’intensità del flusso caotico di coscienza, in particolare quando scolpisce il volto della cugina Bianca, verso la quale ha emozioni troppo intense.
In generale Alberto recupera gli affetti famigliari, sceglie la famiglia come protagonista dei suoi dipinti, la madre Annette, il fratello Diego, Ottilia e Bruno, realizzando opere che riescono a rapire l’istantaneità del quotidiano, l’istante vivo dello sguardo, l’irripetibilità di un gesto semplice ed intimo Per Alberto è importante lo sguardo che rivolge ad ognuno. Secondo Isabelle Maeght «più che la realtà estetica di ognuno è la rappresentazione dell’anima che Alberto ricerca». Enfant assis, Repasseuse 1919, Bruno a l’atlas, Bruno a violon 1922, Ritratto di Diego 1919, sono stupende realizzazioni di un giovane di genio che guarda i volti e le figure attorno a sé nel quotidiano.
L’opera di Alberto concerne l’arte in generale, non come una singola disciplina ma come un’insieme: letteratura, pittura, scultura, musica, filosofia. Nella “rivoluzione modernista” i miti antichi sono ripresi con l’antropologia e la letteratura. Nel 1926- ‘27 compaiono composizioni figurative stereo -metricamente stilizzate e simboli pittorici mutuati dall’ arte dei popoli primitivi. La prima fonte di Alberto è l’Africa, l’Oceania, il Messico. La prima scultura rilevante del ’26, “Donna – Cucchiaio” ne è la sintesi. Donna sdraiata” e “Donna sdraiata che sogna” segnano la fascinazione di Alberto nata dopo la lettura del “Manifesto Surrealista” di André Breton del ’24 che si concretizza nella realizzazione de “L’ Oggetto Invisibile” del ’34- ’35. Nella struttura mentale di Alberto l’interesse per l’inconscio e l’onirico è solo un momento di passaggio per parlare della realtà, “per me la realtà vale più della pittura”, osserva Alberto.
Secondo Adrien Maeght, L’ Homme qui marche, custodito nel Louisiana Museum è una delle opere maggiori del XX secolo: «da sola, riassume la storia della scultura, ma annuncia anche il XXI secolo. Il secolo in cui l’uomo ritorna al centro della civiltà». Per Alberto, L’Homme qui marche è più di una forma, rappresenta l’umanità che avanza verso il suo destino, il mistero, il de-siderio del cielo radicato nella terra.