Apologia del ribelle: il gioco fra bello e bellum

Il termine "ribellione" può significare tornare alla guerra o tornare al bello. Bisogna fare la scelta giusta soprattutto in questi tempi oscuri che di guerre ce ne sono troppe
bello

Si dice che ogni uomo abbia in sé un germe di ribellione, e che essa, come altri impulsi dell’animo, faccia parte della Natura. Ci sono parole che sono sempre attuali: passano di mano in mano, di ora in ora, da una pagina all’altra di questa grande storia.

Ribellarsi è inevitabilmente attuale, perché è ancora attuale la guerra: guerra di tutti i tipi… che sia la minaccia di distruzione di un missile, che sia la casa distrutta da tre giorni di pioggia, fiumi d’acqua che ti portano via l’anima.

Ribellarsi, è reagire, recuperare le forze. Combattere contro.

Ma capita spesso di imbattersi in strane – così sembra – etimologie, come quella riportata dalla foto, che sembrerebbe giocare col significato della parola e la sua dissonanza. In questo caso, si vuol seguire la suggestione che “ribellarsi” significhi “tornare al bello”, unendo l’antefisso[1] ri– alla parola dall’attuale significato: bello, bellezza. Quindi, “tornare al bello” nel senso di lasciarsi alle spalle il “brutto”, l’orribile, dare un calcio a tutto e tornare alla pace della bellezza. E, anche se la bellezza non sempre è pace (ma è anche tormento; estasi, sì, ma anche sofferenza e sacrificio, rinunce e resilienza), è vero però che la suggestione è forte. Siamo abituati a pensare che ri-bellarsi significhi tornare a combattere per qualcosa…E allora come si spiega il divario?

I due apici (guerra e bellezza) sono talmente diversi e opposti, nella loro assurdità ossimorica, che richiedono una riflessione. Così, senza voler essere tecnici della lingua o glottologi, ai quali soltanto spetta la soluzione del dubbio, proviamo ad indagare, nel puro senso letterario.

In latino, la parola bellum significava guerra. Questo finché non sono arrivati i Barbari i quali, portatori di usi e costumi nuovi, ma diversi da quelli latini, usavano una guerra di mischia, di ferocia e sangue. Combattimenti di forza e da cui deriverebbe il termine odierno guerra.

Nel mondo romano, invece, fino al III sec. d.C., guerra era un termine sacro, indispensabile per la crescita e la difesa (aggiungiamo, l’espansione) della civiltà. Esisteva una Dea della guerra, Bellona[2] e si dice che il primo re, Romolo, avesse scavato un fossato intorno al temenos[3], e avesse stabilito che, nel recinto sacro, nessuno potesse entrare da nemico. Così si gettarono le basi della “difesa religiosa”, e Roma divenne una città potente, forte, coraggiosa; improntata alla conquista, ma anche inclusiva, capace di riunire nel tempo sotto di sé, i popoli conquistati – o ridotti alla pace – per evitare ribellioni. La guerra era, per l’Urbe, dovere ed esigenza, e il bellum continuum o il bellum iustum[4] si resero necessari, come i muscoli per il lottatore, per l’affermazione dell’Impero.

Da allora Roma ha scavato il mondo: con l’astuzia bellica ha vinto i Cartaginesi, e poi i Greci, da cui ha importato le scienze orientali e la cultura umanistica, e con esse ha impastato un’arte[5] di cui è stata campione invincibile, amalgamandola con la necessità di lasciare tracce scritte di sé, per rimanere immortali. Augusto, nel I sec. a.C., matura l’idea geniale di trasformare la leggenda in storia, e Virgilio compone l’Eneide, dove si racconta che le nere navi troiane apparse all’orizzonte dei latini – come nube nemica – erano spinte lì dal volere degli Dei, seguendo il disegno di trasformare un villaggio di contadini e pastori in una città, destinata a divenire Caput Mundi[6].

Ma per i Romani, la guerra fu non un “mucchio selvaggio”, ma un’arte, studiata, composta, dall’architettura perfetta… perché, se per un certo periodo si usarono colpi di tamburi e cozzi di lance, per altrettanto tempo si ricorda il silenzio agghiacciante delle legioni e le strategie d’attacco tutt’oggi in uso. Lo schieramento dell’esercito somiglia molto alla tattica delle partite di calcio, che in gran parte ne mantengono i nomi (ala destra, ala sinistra, testuggine[7], attacco[8]).

Ma fu sotto le popolazioni barbariche, invece, che, alla fine, anche la grande Roma dovette cedere: crollò sotto barbari che non erano più tali, perché si erano arricchiti ed erano penetrati a fondo nelle pieghe romane, fino a diventarne Imperatori. E Romolo Augustolo fu deposto da Odoacre, re degli Unni. Era il V sec. d.C.

Dopo, lungo il medioevo infinito, fu il termine war, delle popolazioni barbariche, (anziché il bellum) che indicò la guerra, mentre si diffuse l’aggettivo “bello”, da bellus-a-um[9], a sua volta ripreso dall’antico termine duellum[10].

E allora oggi cosa significa ribellarsi? Tornare alla guerra, o tornare al bello?[11]

Sembra che si debba concludere che non esista una soluzione, e che potremmo pensare che un significato possa adattarsi a come vogliamo modellarlo, e a seconda dei periodi storici[12]. Quindi potremmo pensare che sia «la precisione delle parole a schiudere la potenza del pensiero […]: quando ci viene da usare “bello”, domandiamoci “In che senso ‘bello’?”; e quando abbiamo la risposta, usiamo quella[13]».

Ma noi siamo creature che sopravvivono in tempi oscuri, fra guerre (vere), resilienze e ribellioni, siamo anime che combattono, e, quindi, scegliamo di prendere per buona l’espressione “ribellarsi” come atto di rivolta, di giusta sollevazione, di protesta contro le ingiustizie; se poi questa azione porta a risolvere il dubbio e tornare alla bellezza, allora abbiamo anche chiuso il cerchio.

Teniamo fermo questo significato, che ci porta ad orientarci nella foce della dispersione: è l’indignazione che porta a insorgere, a dire basta. Noi scegliamo allora, con forza, di stare dalla parte delle anime obbligate, soffocate, ingabbiate dalla costrizione e dalla paura…che sono ancora cibo del nostro tempo.

Sono gli uomini che fanno la lingua e la adattano al pensiero, o è la lingua, il tempo e la storia… che fanno uomini e idee?

 

[1] deriva dal latino re-. Indica il ripetersi di un’azione

[2] Bellona interviene nelle fasi più difficili e concitate dello scontro armato donando ai Romani il coraggio e la lucidità (“multo Bellona penates sanguine perfundit renovataque proelia miscet.”)(Ovidio, Met. V, 156)

[3] Un terreno circondato da mura o fossati, isolato per le cose sacre, o per la fondazione di una città immaginata inviolabile.

[4] Aulo Gellio: Notti Attiche; XVI,4arg; Cicerone, de officiis, I,36: non c’è guerra giusta se non quella che si combatte o dopo aver chiesto riparazione dell’offesa, o dopo averla minacciata e dichiarata. (nullum bellum esse iustum, nisi quod aut rebus repetitis geratur aut denuntiatum ante sit et indictum); le leggi della guerra romana, infatti, prevedevano anche che venisse annunciato l’atto bellico, con un avvertimento.

[5] “L’arte della guerra”, Vigezio, IV sec. L’opera fu ripresa dall’opera omonima di Niccolò Machiavelli, nel Rinascimento.

[6] Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 16 «Va’ e annuncia ai Romani che la volontà degli dèi celesti è che la mia Roma diventi la capitale del mondo» («Abi, nuntia […] Romanis, caelestes ita velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit»)

[7] la guerra “ordinata” prevedeva fra l’altro: il quadrato o testuggine (da Romano Impero: https://urly.it/3vb4c )

[8] da Avvenire: https://urly.it/3v7fh

[9]forma antica di bonus-a-um derivato da da *due- nŭlus, dim. di duenos, forma antica di bonus, “buono” https://unaparolaalgiorno.it/significato/bello https://www.treccani.it/vocabolario/bello/; https://unaparolaalgiorno.it/significato/bello  Ci troviamo di fronte al fatto che il sostantivo BELLUM abbia un significato (guerra) mentre l’aggettivo BELLO abbia un altro significato, e un’altra origine.

[10] Dal latino arcaico DUELLUM, una forma arcaica del lat. bellum «guerra» ma sentito come connesso con duo «due».

[11] Proponiamo la conclusione di Isidoro di Siviglia Etimologie (18, 1, 9) La guerra si chiama “bellum” perché non è una cosa bella (Bellum quod res bella non sit)

[12] molte parole vengono usate in modi totalmente impensabili, da un’età all’altra: pensiamo al termine “spalmare” molto in voga oggi per dare il concetto di suddividere e collocare nei giorni e nel tempo. Fino a poco tempo fa non era concepibile questo concetto, e “spalmare” era il gesto rassicurante della marmellata sul pane di casa!

[13]  https://unaparolaalgiorno.it/significato/bello

 

Leggi la seconda partee dell’approfondimento sull’apologia del ribelle: Aracne, una ribelle ante-litteram

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons