Aperture festive dei centri commerciali. Il caso Friuli Venezia Giulia
Tutto era iniziato lo scorso aprile, con la legge regionale 4/2016: che prevede in Friuli Venezia Giulia 10 giorni l’anno di chiusure obbligatorie – Capodanno, Pasqua, il lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, Ferragosto, Ognissanti, Natale e Santo Stefano – per gli esercizi commerciali.
Unica eccezione: i comuni riconosciuti come “a prevalente economia turistica” – come alcune località di mare o sciistiche, dove certo sarebbe difficile pensare di abbassare le serrande ovunque in queste date. Subito era partito il fuoco di fila da parte della grande distribuzione, che già mentre la legge era ancora in discussione aveva fatto notare – tramite il portavoce di Federdistribuzione, Fabrizio Cicero – come si trattasse di una «legge illiberale, demagogica e anticostituzionale, visto che Consulta e Tar hanno chiarito che la materia è di esclusiva pertinenza statale. Si profilano ricorsi e una fase di confusione normativa che penalizzerà consumatori e imprese».
Ci si appellava, in sostanza, al fatto che la normativa nazionale – risalente al decreto “Salva Italia” del governo Monti – fosse più permissiva,e che la Regione non avesse la competenza per legiferare in senso più restrittivo: ma la Giunta, con il sostegno anche di Confcommercio (che rappresenta in buona parte piccoli esercizi commerciali), è andata dritta per la sua strada, e la legge è diventata operativa dal 1 ottobre – con previsione di multe da 6 a 20 mila euro, a seconda della metratura del negozio, per i trasgressori.
Il primo banco di prova in questo braccio di ferro è stato dunque il 1 novembre, festa di Ognissanti.
Al di là della corsa a vedersi riconosciuti come “Comune a prevalente economia turistica” – in cui si è inserita anche Trieste – sono partiti appunto i ricorsi al Tar, sollevati dagli ipermercati Bennet di Ronchi dei Legionari (Gorizia) e Pradamano (Udine): e quando il Tribunale li ha accolti, riconoscendo una sospensiva alle chiusure per questi due negozi, ne sono seguite altre – tanto che alla sera del 31 ottobre se ne contavano 24. A questi si sono poi aggiunti altri esercizi commerciali che, forti di questa pronuncia, hanno deciso di “sfidare” eventuali sanzioni: tanto più che anche diversi sindaci hanno ammesso di essere disorientati, in quanto la legge regionale era sì in vigore, ma eventuali sanzioni avrebbero potuto essere impugnate.
Che faccio quindi, multo o non multo? Questo era il dilemma, rispetto al quale i primi cittadini si sono perlopiù mossi con cautela: «Il comandante della polizia locale mi ha comunicato di avere rilevato cinque esercizi aperti – ha dichiarato il sindaco di Gorizia Ettore Romoli – e nei prossimi giorni valuteremo quali provvedimenti assumere». «I vigili hanno controllato in modo discreto se c’erano esercizi aperti – ha spiegato Gianluca Maiarelli di Tavagnacco –.
In un momento successivo faremo le sanzioni, prima cercheremo di capire tempi e modi». Più deciso il sindaco di Udine, Furio Honsell: «La polizia municipale ha fatto rispettare le leggi. Hanno fatto sopralluoghi e anche i cittadini ci hanno segnalato i negozi aperti. Una legge è legge, è come se io decidessi di non fare rispettare i limiti di velocità, semplicemente non posso. E in questo caso specifico, neppure voglio. Ritengo questa una legge giustissima, non rispettare anche queste dieci chiusure mi pare davvero troppo. Significa ribadire l’importanza epocale del concetto di consumismo e non è un grande modello culturale». E in una regione come il Friuli Venezia Giulia, che vanta in record di spazi dedicati ai centri commerciali – in provincia di Udine si tocca la punta di 880 metri quadrati ogni 1000 abitanti – è evidente che anche la questione culturale non è secondaria.
Di tutt’altro avviso invece il sindaco di Trieste, Roberto Di Piazza, preoccupato del fatto che «Già le persone vanno in Slovenia per comprare benzina e sigarette, non potevo permettere c’andassero anche per fare la spesa»: tanto più che oltreconfine – sia a nord che ad est – il giorno di Ognissanti è tutto chiuso, per cui la prospettiva era che fossero piuttosto austriaci e sloveni a varcare il confine.
Ma i cittadini come l’hanno presa? Alcuni ne hanno fatto una sorta di “questione di principio”, tanto che un po’ in tutta la Regione sono state diverse le segnalazioni dei “trasgressori” giunte alle forze dell’ordine; altri invece, complice il meteo infelice, hanno deciso di recarsi al centro commerciale come fosse una domenica qualsiasi. Chi vi scrive ha fatto per curiosità un giro nel parcheggio di uno dei più grandi centri commerciali alle porte di Udine: c’era sì movimento, ma non una ressa, nonostante il supermercato Iper avesse proposto un buono spesa di 5 euro per l’occasione. E anche il dipendente di un altro grande negozio del circondario – che chiede di rimanere anonimo per ovvi motivi di tutela – riferisce che l’incasso della giornata è stato del 40 per cento inferiore alla media: tenendo conto dei costi aggiuntivi del lavoro straordinario, non è stato poi un grande affarone.
Ed è proprio la tutela dei dipendenti un’altra delle questioni sul tavolo: se c’è chi come Marcello Cestaro, patron del gruppo Unicom – che controlla gli ipermercati Famila, A&O, Emisfero e Cash and Carry con oltre 7 mila dipendenti e un fatturato che supera i 2 miliardi di euro annui – ha espresso la sua contrarietà alle aperture indiscriminate e scelto di tenere chiuso, per tanti altri (soprattutto i precari, pagati a voucher) le aperture straordinarie sono l’unica possibilità per rimpinguare i magri guadagni:
«Vorrei anch’io un posto fisso – ha affermato al Messaggero Veneto un addetto della grande distribuzione organizzata -, ma in questo momento ho trovato soltanto un pagamento con i voucher. E me lo tengo stretto. So di essere sfruttato, ma il mercato offre questo. E io devo vivere. Non ho nessuna maggiorazione in caso di lavoro notturno e festivo, ma per il momento mi devo accontentare. Devo fare buon viso a cattivo gioco, perché anche se dicessi no, arriverebbe qualcun altro alle medesime condizioni. E allora, tanto vale».
Il prossimo appuntamento è fissato per il 23 novembre, quando è in calendario al Tar l’udienza per confermare o meno i decreti di sospensiva; a dire la parola definitiva sarà comunque la Corte Costituzionale, con la sua pronuncia attesa per aprile 2017, dato che anche il governo ha proposto il ricorso per conflitto di attribuzione.