Aperto la domenica!

Salvaguardare il riposo condiviso. È la richiesta anche di due europarlamentari.
Centro commerciale

Nella città moderna sembra non ci sia nulla di più triste di una domenica senza negozi aperti. Gli anziani, dicono alcuni, non saprebbero dove trovare un posto con l’aria condizionata e un po’ di vita colorata. Ma quale logica si è seguita costruendo interi quartieri anonimi, senza trasporti, ma con immensi centri commerciali?

Una sentenza della Corte costituzionale tedesca contraria all’apertura dei negozi nelle quattro domeniche di Avvento nella città di Berlino è stata salutata, da alcuni commentatori, come un forzato ritorno agli anni bui del sistema comunista. Ma quello che si è imposto è un altro tipo di regime.

Nel 2006, uno dei documenti conclusivi della Settimana sociale dei cattolici italiani invitava alla disobbedienza civile contro la scomparsa della domenica come giorno di riposo condiviso. Un richiamo a una forma di non violenza da esercitare pubblicamente. Come i neri di Alabama che smisero di prendere i pullman e decisero di andare a piedi fino alla soppressione di ogni odiosa regola di separazione razziale sui mezzi pubblici.

Ma il contesto attuale è completamente diverso. La pastorale degli stili di vita della diocesi di Venezia, nel 2007, ad esempio, senza chiedere la chiusura dei negozi, ha solo invitato a un impegno personale: non fare la spesa di domenica. Un’iniziativa accolta con scetticismo da alcuni parroci, ma sostenuta anche da famiglie che non hanno alcuna pratica religiosa. Non si tratta, infatti, di dirottare i consumatori dal grande magazzino alla celebrazione ecclesiale. Il centro commerciale è pensato per inglobare ogni tipo di attività o servizio. Accoglierebbe, assieme alla farmacia, anche uno spazio per la messa e altri culti, purché non disturbino l’ordine del libero mercato.

 

Esiste uno studio dell’Università Bocconi continuamente citato, anche nelle ordinanze di comuni e regioni, come fosse una nuova rivelazione: «Gli italiani vogliono i negozi aperti nei giorni festivi». Si magnifica un incremento del Pil nazionale dello 0,25 per cento e la crescita di posti di lavoro. La ricerca è stata commissionata dalla “Federazione delle aziende della distribuzione moderna” che usa tutti i mezzi di pressione a favore di «uno sviluppo competitivo del mercato a vantaggio dei consumatori». Tesi sostenuta con ricorsi davanti al giudice amministrativo dove si portano rappresentanti dei consumatori in contrasto con i sindacati.

Ma, una volta accettata la separazione del lavoratore dall’acquirente del supermercato, il discorso è chiuso. La voce dei banconisti e delle cassiere è troppo flebile per trovare ascolto. Certi camici rendono le persone invisibili e come prive di storia. Eppure basterebbe fermarsi ad ascoltare i testimoni dei recenti licenziamenti del primo centro commerciale di Roma, aperto per definizione i giorni festivi, per smontare la tesi che associa le domeniche lavorative con l’aumento dell’occupazione. «La “torta” del consumo resta sempre la stessa; soltanto viene divisa tra i diversi competitori, con i più grandi che prevalgono. Per qualche profitto in più, si è ormai trasformata la giornata festiva in un giorno come gli altri», osservano i sindacati dei lavoratori del commercio di Modena in una richiesta di sostegno rivolta ai vescovi locali.

La scomparsa di un giorno di riposo collettivo genera una rottura nel legame sociale che vive di tempi rituali, anche staccati dalla diffusione della pratica religiosa, come sapevano molto bene gli ideologi della rivoluzione francese che divisero il mese in tre settimane di dieci giorni. Cambiare il calendario è uno dei segni di un potere che vuole imporre le sue visioni. Al ciclo continuo sulle 24 ore, senza pausa comune, corrisponde l’idea di un lavoratore, senza una comunità di riferimento, che vende le sue ore come una merce qualsiasi. Non bisogna aver studiato Baumann per comprendere come un addetto alla cassa di un ipermercato non sia in posizione di parità con chi lo ha assunto.

 

Il lavoro festivo è una questione sociale fondamentale. Occorre certo offrire soluzioni attraenti e alternative alla giornata di shopping, ma è altresì necessaria una normativa che ponga dei limiti.  

Due eurodeputati di diverse tendenze, Thomas Mann e Patrizia Toia, hanno lanciato la proposta di un’alleanza per le domeniche libere dal lavoro. Dal silenzio riservato a tale iniziativa si può comprendere il peso delle forze in gioco. Eppure, per l’Europa, sarebbe l’occasione per far riconoscere, dai frutti, le buone radici dell’albero.

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