Aperti gli archivi segreti, ma resta il silenzio sul caso Moro
I troppi misteri dell’Italia resteranno ancora avvolti dal segreto. Dunque, conviene evitare facili e sconsiderati entusiasmi. Ma non si può non guardare con partecipe attenzione ad un segnale di scardinamento di una logica che ha imperato sinora nel Paese. «Abbiamo “declassificato” i documenti su alcune delle pagine più oscure della storia italiana», ha annunciato con soddisfazione il premier Renzi, dopo aver firmato martedì 22 aprile il decreto contenente una direttiva che toglie il riserbo sugli atti relativi alle stragi che hanno insanguinato la Penisola.
Si tratta di pagine tragiche e inquietanti che annoverano i fatti di Piazza Fontana a Milano (1969, nella foto), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Italicus (1974), Piazza della Loggia a Brescia (1974), Ustica (1980), stazione di Bologna (1980), treno Rapido 904 (1984). I documenti relativi a tali stragi, sinora in possesso di varie amministrazioni, verranno passati all’Archivio di Stato, superando il vincolo posto dal limite minimo di 40 anni dalla fine dell’utilizzo dei documenti, previsto dalla legge vigente.
Alla baldanza di Renzi ha risposto Beppe Grillo, il quale parla di «bluff mediatico», sottolineando che «sarà pubblicato solo ciò che è già pubblico da anni», cui fa eco il leghista Roberto Maroni, già ministro dell’Interno, che ha stigmatizzato: «Abolisce un segreto di Stato che è già stato abolito sette anni fa».
Per la verità, la faccenda non riguarda il segreto di Stato, perché in tema di stragi non esiste un tale vincolo istituzionale. I documenti delle stragi sopraelencate, infatti, sono già stati messi a disposizione sia delle procure, che delle commissioni d’inchiesta. Dove sta allora la novità dell’annuncio renziano? Semplicemente nel fatto che i cittadini, tra poco, potranno avere accesso a carte sinora riservate.
«Non ci sarà nessuna novità – precisa il parlamentare Pd Felice Casson, magistrato in aspettativa –. Ma l’intenzione è positiva perché può portare ad abbreviare i tempi di desecretazione di atti dei servizi segreti, che possono riguardare anche carabinieri o polizia, utili ad accertare fatti del passato». L’iniziativa ha incontrato anche il compiacimento della presidente della Camera, Laura Boldrini, che parla di «un’importante e positiva decisione». Per iniziare a vedere le prime carte riservate, ci vorranno comunque un po’ di mesi, perché i documenti dovranno «venire versati» all’Archivio di Stato, incominciando dal materiale che riguarda i fatti più lontani nel tempo.
Un giudizio fondato su questa iniziativa si potrà dare solo quando sulla Gazzetta Ufficiale sarà pubblicato il testo della Direttiva Renzi. Ciò permetterà di «valutarne l’effettiva efficacia per l’acquisizione della verità», ci dice il magistrato Giovanni Caso, presidente onorario della Corte di Cassazione.
In qualità di giudice ha preso parte al processo Moro. Per quale ragione la Direttiva non include una pagina così misteriosa della nostra storia? «Mi ha colpito il fatto che la strage di via Fani, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro non risultano menzionati tra tutti gli eventi, che pure sono puntigliosamente elencati nella Direttiva. Non so il motivo di questa mancata citazione».
Riguardo al “caso Moro”, hanno rilasciato dichiarazioni i parlamentari Grassi e Fioroni, l’esperto Giannulli e il giudice Imposimato. Quest’ultimo ha fatto presente che, finora, sue ripetute richieste di accedere ad atti riservati non sono state accolte. Grassi e Fioroni, che sono stati promotori di una nuova commissione parlamentare d’inchiesta sulla “vicenda Moro”, hanno dichiarato che risultano finora segretate oltre 15 mila pagine di documenti.
L’esperto Giannulli ha affermato che da anni il segreto di Stato sulle stragi non è opponibile alla magistratura, la quale, così come le commissioni parlamentari che si sono succedute sul “caso Moro”, hanno abbondantemente esaminato archivi dei servizi e dei corpi di polizia, acquisendo una grande mole di documenti. Quelli, invece – a detta di Giannulli –, ancora “inarrivabili” sono gli archivi della Presidenza della Repubblica, gli archivi “informativi” dell’Arma dei Carabinieri e quelli delle segreterie di sicurezza e dei relativi uffici Uspa, che sono coperti dal segreto Nato.
Giudice Caso, come valuta queste affermazioni?
«Sulle dichiarazioni di Giannulli nulla sono in grado di dire. Faccio, però, presente che la legge 124/2007 – che finora non è stata seguita da un regolamento di esecuzione – dispone che nel caso in cui i documenti segretati coinvolgano altri Stati, il governo italiano deve chiedere il consenso degli Stati coinvolti per la pubblicazione dei documenti stessi».
Dunque, il caso Moro coinvolgerebbe altri Paesi?
«Non sono in grado di risponderle. Tuttavia, ove la cosa fosse vera, penso che sia questo l’ostacolo maggiore per acquisire piena verità sul “caso Moro”. E, fermandoci all’oggi, mi colpisce la mancanza di informazioni sui “diari” di Giulio Andreotti. All’indomani della sua morte fu pubblicata dai giornali la notizia che tali “diari” – a cui sono portato ad annettere particolare importanza proprio relativamente alla “vicenda Moro” (Giulio Andreotti era in quel momento presidente del Consiglio) – erano custoditi nel “caveau” di una banca. Poi non si è detto più nulla».
Un ennesimo mistero, che si aggiunge ai tanti altri, sui quali c’è urgenza di fare piena luce. Il Paese ha bisogno di sistemare il recente, oscuro e preoccupante passato per guadagnare fiducia per il presente e per il futuro.