Antonio Tajani, un (buon) presidente quasi per caso

Un presidente italiano del Parlamento europeo non avveniva dal 1979 con Emilio Colombo, epoca in cui l’assemblea, non ancora eletta a suffragio universale diretto, aveva un ruolo poco più che simbolico, con nessuna competenza legislativa.

Un presidente italiano del Parlamento europeo non avveniva dal 1979 con Emilio Colombo, epoca in cui l’assemblea, non ancora eletta a suffragio universale diretto, aveva un ruolo poco più che simbolico, con nessuna competenza legislativa. Dal 17 gennaio, il popolare Tajani è il nuovo presidente del Parlamento di Strasburgo. Una candidatura nata dalla mossa a sorpresa di Martin Schultz di lasciare la carica europea per presentarsi alle elezioni tedesche ad ottobre, e che ha scardinato la pratica consolidata della grande coalizione tra popolari e socialisti di dividersi la presidenza del Parlamento, metà mandato ad ognuno. Questa volta sono state elezioni vere, Tajani contro un altro italiano, il capogruppo socialista Gianni Pittella, che aveva ottenuto la carica grazie al 40% del Pd alle ultime elezioni europee. La carriera politica di Tajani si è svolta quasi tutta in Europa: parlamentare europeo dal 1994, poi commissario con Barroso. Soprattutto al dicastero dell’industria, come vicepresidente della Commissione Ue dal 2010 al 2014, si è forgiato una solida reputazione, che l’ha certamente aiutato nel costruire il consenso attorno alla sua candidatura e ottenere, al quarto scrutinio, i 351 voti (ben oltre i 271 deputati del Partito popolare europeo) che gli hanno garantito l’elezione.

Quello che, ancora una volta, è mancato, è stato il gioco di squadra del sistema Italia. In genere i posti che contano in Europa, non solo a livello politico ma anche tra i funzionari più influenti, sono proposti dai governi nazionali con sapienti manovre. Storicamente, i più abili a piazzare propri esponenti in posti chiave sono stati i britannici. Noi italiani ci presentiamo ai grandi appuntamenti europei il più sovente in ordine sparso, e le candidature forti nascono più per la competenza delle persone – come nel caso di Draghi alla Bce – che come espressione di un sistema nazionale che punta a far sentire la propria voce in un consesso di pari come l’Unione europea.

Pensiamo che Tajani sarà un buon presidente: padroneggia come pochi i dossier dell’Unione europea e ha un’ottima conoscenza delle lingue, importante nel ruolo che dovrà svolgere a capo dell’istituzione che dà voce ai popoli europei e che è diventata, nel tempo, co-legislatore su un piede di parità col Consiglio dei ministri, che rappresenta la voce degli Stati membri dell’Unione europea.

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