Antonio, pittore di Roma
Non è famoso come Melozzo, Ghirlandaio, Perugino e Pintoricchio che hanno adornato la Città Eterna sullo scorcio del ‘400 di pitture che formano la gioia dei turisti. I critici d’arte l’hanno abbastanza trascurato, ma per fortuna Roma gli ha dedicato ora la prima rassegna in assoluto nell’ex papale Palazzo Barberini fino al 2 febbraio (catalogo Silvana editoriale).
Stiamo parlando di Antonio Aquili, detto Antoniazzo Romano, nato nel 1445 nella capitale da una famiglia di pittori e qui morto nel 1508. Che artista è Antoniazzo? È solo un bravo pittore di tavole sacre per le confraternite cittadine, un frescante preparato, un artista che frequenta la potente famiglia Caetani ed un imprenditore che tiene casa e bottega in maniera tale da soddisfare le richieste provenienti da tutto il Lazio, da Bracciano a Viterbo, da Rieti a Subiaco? Ci si può sbagliare di grosso di fronte ad Antoniazzo. Ed è un peccato che i papi l’abbiano snobbato, preferendogli artisti stranieri come quelli citati in apertura.
Antoniazzo ha buona mano, pennello facile, sa raccontare con piacere favole sante come quelle di santa Francesca Romana, in 24 episodi, nel turrito monastero di Tor de’Specchi ai piedi del Campidoglio: realismo della Roma di allora, gente che va e viene, lavandaie, soldati, commercianti, colori chiari e freschi. Un fumetto dipinto per il popolo.
Ma quando dipinge la cappella del Bessarione ai Santi Apostoli, il nostro sfodera un talento ritrattistico come quello (e forse anche più) di un Perugino: il vescovo in processione, il volto scavato e la barba lunga, che avanza appesantito dal piviale dorato ne è un esempio formidabile. Ma ce ne sono altri, come la schiera degli Uditori di Rota, avvolti in cappe nere e rosse (oggi nella Biblioteca papale), i due Caetani inginocchiati davanti a san Sebastiano trafitto, il cappello in mano, il profilo tagliato contro il cielo: gente di carattere, che non sfugge ad Antoniazzo.
Il quale ne fornisce ulteriori esempi nelle pale d’altare. Il san Vincenzo Ferrer che si staglia alto contro il fondo dorato – antiquatissimo, ma voluto dal committente – è il ritratto di un uomo del suo tempo, maschio, deciso; il sant’Antonio da Padova di Rieti ha la vivezza di un frate contemporaneo che si mette in posa – sacra – e ci guarda direttamente negli occhi. Sono i santi e le sante di Antoniazzo a fissarci senza paura, dal fondo oro, che ha fatto ingiustamente definire il pittore come un ritardatario.
Ed invece si tratta di un artista fine, un indagatore dell’uomo ed un cercatore di una forma di bellezza vaporosa, senza essere sdolcinata. Guardiamo le sue Madonne: fra le tante, quella di Capua tra i santi Stefano e Lucia, che aria signorile, che dolcezza timida, quale affetto trattenuto e come il corpo è creato dalla linea che non si vede, ma c’è, soffice, e come il colore lo rivesta di toni smaglianti senza essere laccati.
Nelle Madonne Antoniazzo dà la spia del suo animo tenero, di un senso della femminilità come sede di un amore vigilante, ma mai possessivo, così che esse su sfondi spesso dorati o di tappezzeria fastosa sono una processione di sguardi, di respiri e di sospiri. Insomma, una gentilezza mai pesante, una narrazione festosa, ma equilibrata, un cantare piano di un artista che lavora molto, sparge dappertutto opere piena di una luce serena, e non alza mai un lamento.
Tutto da scoprire, nella fucina artistica del rinascimento romano e non come un minore, ma come una voce grande, forse incompresa dai potenti, di un colloquiare narrativo accogliente, premuroso e gentile.
(Nella foto, l'Annunciazione conservata nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, a Roma)