Antonio e Cleopatra, tra amore, conflitti e politica
La storia di Antonio e Cleopatra, tragedia e commedia insieme, d’amore e conflitto, che Shakespeare attinge da Plutarco rimaneggiandola con grande libertà mischiando incessantemente tragico e grottesco, è quella di due maturi amanti, furenti, liberi, politicamente scorretti, culturalmente e geograficamente lontani, la cui unione fa incontrare e scontrare Oriente e Occidente. Lei la regina d’Egitto, è donna di dirompente femminilità, intelligente e stratega, per natura anche ironica oltre che melanconica e drammatica, astuta ma bizzosa come amante e pretenziosa nel condurre fallimentari imprese militari; lui un condottiero, anzi un triumviro romano ‒ “demente d’amore” come viene descritto nella prima scena dai messi romani, o “buffone tragico” come lo definisce il Valter Malosti ‒ completamente sedotto da lei, al punto da abbandonare le responsabilità politiche di Roma e i grandi fatti del mondo. Ma i due sono soprattutto un uomo e una donna, anche se la lotta per il potere entra in continuazione nella stanza in cui si consuma un desiderio che l’età, e forse l’abitudine, non acquietano.
La chiave per leggere l’Antonio e Cleopatra di Malosti, regista e anche interprete della messinscena (produzione Emilia Romagna Teatro ERT -Teatro Nazionale), ci sembra sia proprio questo occhio privato, questa sfrenatezza incosciente, questa speranza che la passione, con la sua vitalità, possa fermare la decadenza e la fine. Malosti sacrifica la spettacolarità del testo (ben sfoltito nella sua nuova traduzione firmata insieme a Nadia Fusini) a favore dell’essenzialità e della musicalità della parola, con una stilizzazione riscontrabile sia nell’allestimento architettonico da quadro metafisico alla De Chirico; sia nella dinamica dei movimenti, prediligendo le posture scultoree, con i diversi personaggi – l’antagonista Cesare Ottaviano, il fedele poi traditore Enobarbo, Lepido, Agrippa, la moglie Ottavia, l’Indovino, la scattante serva Incanto, due Messaggeri, due soldati ‒ stagliati come pietre; e ancora, nella posa da sacerdote della parola “scolpita” che il protagonista assume.
L’elemento marmoreo ‒ ispirato dalla “scultura funeraria” del saggio di Erwin Panofsky – è ben presente nella scenografia di Margherita Palli che crea una scena-tomba simile ad un mausoleo contemporaneo con una soglia centrale, quasi da oltretomba, dalla quale entrano ed escono, su una pedana scorrevole, i due amanti e la figura di Eros; mentre dalle quinte laterali sbucano quegli oggetti legati alle sepolture monumentali: un enorme cavallo su cui siede una volubile Cleopatra, un trono regale, delle urne. Il destino d’entrambi gli amanti appare subito direzionato verso la tragedia, come due maturi Giulietta e Romeo costretti a rincorrersi beffandosi anche nella morte, per raggiungersi appena prima che lui si spenga sul tumulo di lei. Precedentemente lo avevamo visto torreggiare solo in scena, inetto a suicidarsi come i suoi fedeli che ne rifiutavano il compito, come anche Eros che si uccide per devozione; e ancor prima era a cavalcare la battaglia e gli eventi guerreschi solo evocati dal racconto degli stessi personaggi, le cui voci e le azioni sono accompagnate per tutto lo spettacolo da una costante – e invadente ‒ colonna sonora (di GUP Alcaro) in sottofondo che include un arpeggio live (arpa celtica di Dario Guidi, Eros), e dei brani rock anch’essi dal vivo.
Nell’interpretazione di un’appropriata, bravissima Anna Della Rosa, Cleopatra è donna mutevole, “qual piuma al vento”, irascibile e vanitosa, brillante e severa, capricciosa quanto basta, che alterna toni e pose comiche ad altre drammatiche, d’attrice consumata anche nello sfoggio di una varietà d’abiti a seconda dell’umore. La sua fine, orgogliosa e solenne, si consuma davanti ad uno specchio da camerino, non più col morso di un aspide ma con una pistola. La voluta teatralità esagerata, esibita, è nei toni soprattutto dei due protagonisti, che, prima di virare verso una più convenzionale recita, all’inizio interpretano come dei personaggi da sit-com con tanto di applausi e risate fuori campo. Uno scarto di registro che non persegue verso questa direzione, che invece poteva rappresentare una più netta e originale chiave registica. Al servizio della parola c’è comunque la magnifica squadra attoriale composta, oltre dai due protagonisti principali, da Danilo Nigrelli, Massimo Verdastro, Dario Battaglia, Paolo Giangrasso, Noemi Grasso, Ivan Graziano, Dario Guidi, Flavio Pieralice, Gabriele Rametta, Carla Vukmirovic.
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