Antonio De Matteo: Sono un curioso dell’essere umano
Nella serie di Rai1 Leonardo era Galeazzo Sanseverino, condottiero e amico di Leonardo Da Vinci, un personaggio infimo e assetato di potere. Faccia da duro anche in altri ruoli, ma ora non più nei recenti Stranizza d’amuri e Piano piano, film dove interpreta «due personaggi che, finalmente, non sono solo cattivi, ma profondamente umani», sottolinea Antonio De Matteo. Formatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia, il 45enne attore casertano ha all’attivo diverse serie televisive e film come Buongiorno, notte, Ocean’s Twelve, Bella addormentata, Malerba, per citarne alcuni. La grande notorietà è arrivata con Mare fuori, il teen-drama prodotto da Picomedia e Rai (disponibile su Raiplay) e pluripremiato ai Nastri
d’Argento 2022, giunto alla terza stagione, che ha spopolato in Italia e all’estero. Il serial, che racconta la vita dei detenuti nel carcere minorile di Napoli, è latore soprattutto di un valore sociale, anche di riscatto, per i ragazzi dalle storie difficili che ne sono protagonisti. De Matteo è Lino, uno degli agenti di polizia penitenziaria incaricati di proteggerli e seguirli durante il loro duro percorso, subisce un’evoluzione nel corso delle tre stagioni capendo che l’onestà intellettuale paga più degli interessi personali.
Antonio, hai un figlio di 9 anni. L’esperienza di essere padre ti ha aiutato nel rapporto con i ragazzi sul set?
Tantissimo. Il personaggio di Lino ha un problema col padre, colpevole di avergli insegnato a mentire e acoltivare il lato oscuro. Lui però cerca di redimersi. Ho cercato di mantenere la dignità di un uomo che vuole essere un padre migliore di quello che ha avuto. E ci prova con il personaggio di Sasà.
Che padre sei con tuo figlio?
Cerco di essere il più attento possibile alle sue necessità, cercando pure di dargli il maggior numero di opzioni per essere autonomo e poter affrontare nella vita anche le inquietudini, i dolori e le gioie. Mio padre mi ha insegnato ad essere un individuo capace di prendersi le responsabilità delle proprie scelte, ad essere curioso, imparare poi dagli errori, e soprattutto ad essere onesto. Come voglio che sia mio figlio. Ho desiderato essere padre da quando avevo 25 anni, dal tempo in cui lavoravo anche in una casa famiglia. Da quando è nato, l’aver spostato l’attenzione su un altro essere umano che ti appartiene profondamente, ma non ti appartiene, mi ha cambiato le prospettive.
Per il ruolo di Lino, come ti sei preparato?
Innanzitutto mi sono documentato su come si comporta un agente penitenziario, che è diverso da quello minorile. Umanamente questa figura non mi era del tutto nuova dato che, da più giovane, sono stato un operatore sociale in associazioni di volontariato, anche internazionale, prima come utente poi volontario e infine operatore (all’epoca ero dibattuto tra il continuare su quella strada o fare l’attore). Dopodiché ho lavorato contro tutto quelloche combatto ogni giorno: il pregiudizio e la rabbia. Lino ha un pregiudizio verso i ragazzi, all’inizio li tratta male perché è rabbioso, ma lo è con sé stesso per quello che è successo nella sua vita.
Che clima si è creato sul set?
Di famiglia. È stato un grande stimolo proprio nel momento in cui credevo sempre meno nel mestiere dell’attore. Ero anche in dubbio sul saperlo fare o no, dopo aver trascorso molto della mia vita a crederci e a lavorare in questo senso. Qui, invece, quando sono arrivato, ho trovato delle persone che avevano la voglia di darsi completamente, con grande energia. E credo che questo traspaia nel film, e spieghi anche uno dei motivi del grande successo.Immagino ci sia stato un lavoro partecipativo anche da parte dei ragazzi…
Per me dovrebbero essere annoverati tra i dialoghisti o gli sceneggiatori, perché cesellano la grande quantità di informazioni, materiali ed emozioni già scritte che ricevono, e le fanno diventare quella roba reale e vera che vediamo sullo schermo. Sono talmente intensi che se tu riesci a stare in linea con loro hai già vinto.
Sei anche un bravissimo fotografo…
La fotografia è il mio secondo amore, da sempre. Fotografo molto gli attori, ma non solo. Mi piace interagire con loro. Ci perdo molte ore chiacchierando e mettendomi in ascolto. Cerco di capire che tipo di luce è più adatta per quella faccia, ma soprattutto cerc di tirare fuori la vera essenza delle persone. Questo processo mi permette di non avere il pregiudizio, l’idea che mi sono fatto all’inizio non conoscendole. Anzi è proprio la voglia di romperlo. È anche un processo mio di vita, di evoluzione personale: imparare dalla vita degli altri, e per farlo devo entrare nella loro vita. E quindi, come attore, anche nel personaggio. Sono un curioso dell’essere umano. Quello che mi hanno insegnato come attore è l’ascolto. Quando ci si ascolta, si raggiunge un altro livello. E questa pratica, sia come attore che come persona, la puoi fare nella vita di tutti i giorni con un allenamento costante.
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