Antonello il tempo sospeso

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Il leone avanza con passo felpato dall’ombra della navata verso san Girolamo concentrato nello studio (Londra, National Gallery). La ragazza siciliana ferma trepidante l’Annuncio di un angelo invisibile (Palermo, Galleria Nazionale). La Crocifissione (Anversa) è uno spasimo compresso dentro al silenzio del mondo. Gli angeli depongono un Cristo senza peso sul sepolcro (Venezia, Museo Correr). Tutto è immobile nella pittura di Antonello. Meglio, sta sospeso fra ciò che è appena avvenuto e ciò che avverrà. In una sospensione dilatata nel tempo che pare finire mai, la poesia prende forma. In Antonello, superando le suggestioni iberico-fiamminghe della formazione, essa diventa una Parola forte, ma non invasiva: presente, senza esser debole. Il San Sebastiano di Dresda, anta di un polittico smembrato, è come un colonna di giovinezza, un fusto luminoso, monumentale tra la fuga di un interno di vie e terrazze quasi indifferenti. La Madonna e santi di Vienna – frammento della perduta Pala di San Cassiano – ci si rivolge placidamente mormorando parole spente. Come accade in Piero della Francesca. Priva tuttavia della sua assenza sentimentale e della sua fissità simbolica, l’arte di Antonello si pone come un tentativo di sospendere l’azione, di frenare il tempo, consegnandoci immagini di uomini, cose, eventi con cui dialogare, e riflettere, osservando. Ciò vale anche per i ritratti, personaggi che si affacciano su un davanzale: sicuri di sé, a volte duri e cisposi. Apparizioni virili, folgorazioni dell’animo, impresse in noi con la sola forza plastica del colore. È del primo Rinascimento l’attitudine a fermare il tempo. La meditazione sulla classicità, unita all’interiorità tardomedioevale, rendono gli artisti – da Jan van Eyck, a Giambellino, a Cima – sensibili a tra- scendere la storia, e il dramma umano, in una dimensione catartica. L’arte purifica, già col suo stesso esistere e la sua carica di idealità. In Antonello, messinese dai molteplici interessi, viaggiatore aperto ai richiami nordici, iberici, veneto-lombardi – a Venezia compie alcuni capolavori -, la dimensione reale della vita viene da subito indagata con occhio scrutatore e immediatamente portata sul piano universale della Storia. Il realismo delle scene o dei volti infatti non ci soffoca, ci parla senza parlare. L’uomo antonelliano cammina nel tempo come chi lo domina e lo riesce a sospendere, a trattenere fin che egli vuole. E la natura accompagna la calma straordinaria dell’evento. Nelle Crocifissioni il paesaggio ondulato, con squarci di mare – forse il porto di Messina – le case e le città hanno un tocco di dettaglio fiammingo, ma non descrivono: stanno come creature vive a commentare il mistero doloroso. È l’uomo il protagonista dell’arte antonelliana, non la natura. Per quanto bella e invasa dalla luce. Il microcosmo che fa da quinta agli uomini e alle donne del pittore crea un pulviscolo di esistenze che però sono u n sottofondo dell’Avvenimento. Per rendere il senso profondo di quanto narra, Antonello forza i pigmenti oleosi a imbeversi di luce, accende il colore, fa calde le ombre: tutto è leggero e forte. Ma la sua non è la fortezza incorruttibile di un Piero, l’onnipotenza umanistica di Masaccio, il lirismo di Giambellino o di Cima. Anche il suo misticismo (i Cristi sofferenti) non ricorda van Eyck. Antonello sfuma ogni acuta nota in una stasi palpitante, dilatata come una nota tenuta lungamente. Il Cristo deposto di Venezia, forse una delle sue ultime opere, è un corpo rivestito di sentimento, dove le punte goticheggianti del panno eseguono un controcanto alle membra luminose, così come nel suo presunto Autoritratto la precisione dei dettagli anatomici fissata in uno sguardo diritto e meraviglioso è bilanciata dalla parola appena pronunciata e che attende il nostro ascolto. Da questo insieme di elementi nasce la poesia del tempo sospeso di Antonello. Qui forma perfetta, ragione prospettica, senso cromatico si uniscono in una visione della vita sempre oltre ciò che è contingente: questo pittore non conosce perciò la paura, ma solo l’ardimento. Recettivo quant’altri, resta libero e sereno. Com’è dell’ideale rinascimentale. Anche dalle sue opere scarse o rovinate – penso all’Annunciata di Siracusa – arriva l’incontro con una Umanità misura del suo tempo, capace di dire la storia. Per questo Antonello è attuale. I suoi personaggi sembrano non parlare. In realtà dicono a noi ancora oggi: fermati, e ascolta. Puoi scoprire chi sei. UN EVENTO UNICO Per la prima volta 45 lavori di Antonello sparsi nel mondo riuniti a ricostruire la biografia (1430 circa-1479) e l’arte di un genio. Che inizia come pittore di gonfaloni, altari, ritratti minuscoli ma folgoranti. Ha una bottega operosa, viene chiamato a Milano e a Venezia – dove si ferma per due anni – e poi torna a morire in Sicilia. Una vita poco documentata anche a causa del terremoto messinese del 1908, distruttore di opere e archivi. In mostra, per un utile confronto, anche una ventina di opere di Giambellino, van Eyck, Colantonio (il suo maestro), Vivarini, Cima, Laurana, Petrus Christus, Jacometto Veneziano, Antonello de Saliba. La mostra, curata da Mauro Lucco dell’Università di Bologna è a Roma, Scuderie del Quirinale, dal 18/3 al 25/6 (catalogo Silvana Editoriale).

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