Antonello e l’Annunciata

Palazzo Abatellis a Palermo custodisce un capolavoro del sommo pittore di Messina che ha ispirato un recente romanzo
Antonello Da Messina

Il mio primo incontro con Antonello da Messina è avvenuto a Roma, guardando una gigantografia dell’Annunciata di Palermo. Non riuscivo a staccare gli occhi da quella immagine, ne ero come ipnotizzato. Intuivo la genialità dell’autore che, rompendo gli schemi con cui gli artisti erano soliti rappresentare l’evento sacro, aveva evitato di dipingere l’Angelo. La sua presenza, infatti, è supposta fuori del quadro e l’osservatore che segue lo sguardo della Vergine se lo sente alle spalle, verso sinistra, adorante.

Il secondo incontro risale a diversi anni dopo, sempre a Roma. Stavolta con l’originale del dipinto. L’occasione: la grande mostra su Antonello del 2006 alle Scuderie del Quirinale. Quale sorpresa nel costatare che la tavola dipinta – evidentemente un’opera commissionata per la devozione privata – misurava appena 45 centimetri per 34,5! Eppure, nonostante le ridotte dimensioni, che facevano maggiormente apprezzare le preziosità del modellato e dei particolari, quell’Annunciata costituiva più che mai un potente risucchio di attrazione. Un mistero mai del tutto compreso e svelato, che studiosi ed estimatori di ogni epoca hanno cercato di sondare.

La composizione piramidale della Madonna col capo e il busto coperti da un manto azzurro chiuso con la mano sinistra nel gesto del pudore dice la verginità di Maria: hortus conclusus. La mano destra, invece, tesa in avanti starebbe a indicare il gesto della sorpresa. Eppure questa spiegazione non mi convince. Come mai allora l’espressione di Maria non è di turbamento, ma di serena consapevolezza, come di chi ha preso una decisione irrevocabile? Inoltre, a ben guardare, un impercettibile sorriso sembra sollevarle l’angolo destro della bocca. Saremmo dunque già nel momento successivo alla spiegazione dell’Angelo, quando Maria, aderendo al piano di Dio, pronuncia il suo “sì”? E la mano destra col palmo rivolto sul piano del tavolo esprimerebbe tale assenso?

Recenti studi sembrano confermare questa interpretazione. Infatti si è potuto decifrare sulle pagine del libro su cui Maria medita la lettera maiuscola M, l’inizio del Magnificat. Niente sorpresa e turbamento, dunque, siamo già nel dopo, nell’accettazione; e le pagine che un soffio leggero sembra sfogliare sono presenza dello Spirito Santo adombrante la Vergine dopo il suo Fiat. Tanto riesce ad esprimere il genio di Antonello con estrema sobrietà di mezzi, in così breve spazio!

L’Annunciata oggi forma una delle attrazioni del Museo di Palazzo Abatellis a Palermo. In attesa di rivederla proprio lì un giorno, mi sono rifatto con L’uomo che veniva da Messina edito da Giunti: un romanzo su Antonello, «l’unico tra i pittori siciliani ad aver raggiunto una fama universale. L’unico ad essere entrato tra i giganti della sua epoca», il Rinascimento.

L’autrice Silvana La Spina ha avuto buon gioco nel rappresentare il personaggio, colmando in maniera plausibile i vuoti di una vita cui si sa piuttosto poco, e comunque ricreando abilmente il periodo storico e le botteghe degli artisti dell’epoca. Il romanzo inizia nel 1479, quando il pittore anziano ha fatto ritorno nella sua Sicilia «già allora abbandonata al sopruso dei più forti». Ormai in fin di vita, egli rivede nel delirio finale le varie tappe trascorse: dall’infanzia pezzente all’incontro con i misteriosi artisti del Trionfo della Morte (altro gioiello custodito a palazzo Abatellis); dalla Napoli dominata da cortigiani come il Panormita e la bella Lucrezia, alla Roma dei cardinali cialtroni e delle prostitute; dalla Mantova del Mantegna alla Arezzo di Piero della Francesca. Da Bruges, dove finalmente scoprirà l’amore e persino il segreto della pittura a olio (la sua ossessione di sempre) a una Venezia che gli darà fama e gloria e l’amicizia coi Bellini. 

«Uomo che conosce mille vite, senza viverne veramente una», Antonello è divorato dall’ambizione, dal fuoco dell’arte. Solo verso la fine dell’esistenza capisce che, attraverso le sue opere, «il mio cuore era pieno di amore per l’umanità […] Ma non per questo sono un uomo buono. La mia arte è buona, non l’artista».

Tra i personaggi che gremiscono il romanzo spicca una donna, Griet: di tanti amori mercenari, l’unico vero di Antonello. Griet è la figlia bastarda di Van Eyck, l’inarrivabile maestro di cui egli ha carpito i segreti della pittura fiamminga. Ed è proprio lei a prestare il suo volto all’Annunciata, l’ultima immagine che gli viene incontro, radiosa, prima di chiudere gli occhi per sempre.

Per l’autrice, Antonello «rappresenta tutti i siciliani che fuggirono dalla propria terra, ma che ci torneranno per morire in pace. Per molti versi la sua storia è simile a quella di tanti artisti che solo uscendo dal limite destinato trovarono sé stessi…  Ma che pagarono tutto questo a caro prezzo. Che è poi il prezzo dell’arte medesima. Il libro è dedicato a costoro».

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