Antoci: «Lo Stato vince, la mafia perde»
I pascoli fertili del Parco dei Nebrodi venivano assegnati mediante licitazione privata, con metodi che finivano per favorire alcune famiglie della mafia o allevatori collegati ai gruppi criminali. L’inchiesta “New Park” condotta dalla Dda di Caltanissetta ha portato alla denuncia di due ex direttori dell’Azienda speciale Silvo-Pastorale che, nel comune di Troina, gestisce la grande area di proprietà del comune e di dieci imprenditori agricoli che avevano ottenuto ed utilizzano le concessioni. I due ex direttori sono Giuseppe Alessandro Militello e Salvatore Pantò. L’inchiesta riguarda il periodo dal 2014 al 2017. I reati sono: abuso d’ufficio, turbata libertà degli incanti, illecita concorrenza con minaccia o violenza, estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. L’assegnazione dei pascoli avveniva mediante licitazione privata, con metodi che potevano favorire le grandi famiglie mafiose o gli assegnatari ad esse collegate.
Le risultanze dell’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza, porterebbero a ritenere che i dieci assegnatari dei terreni, «con la connivenza del direttore pro-tempore dell’Azienda Silvo-Pastorale, che procedeva anche all’arbitrario frazionamento del valore dei contratti al di sotto della soglia all’epoca prevista per le verifiche antimafia, avvalendosi del metodo mafioso e della forza intimidatrice, hanno di fatto monopolizzato le procedure negoziali». La combutta avrebbe scoraggiato altri allevatori o agricoltori dal partecipare alla gara «ottenendo in tal modo l’assegnazione di lotti di pascolo mediante la presentazione di offerte “incoerentemente” minime – previamente concordate tra i co-indagati – rispetto a quelle fissate a base d’asta». Pagavano poco e ottenevano molto quegli assegnatari: perché l’altra faccia della medaglia erano le procedure per l’accesso ai Fondi Europei per l’Agricoltura che garantivano proventi importanti.
Un meccanismo “spezzato”, per la prima volta, nel 2015, quando al tempo dell’allora presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, venne redatto ed approvato il cosiddetto “protocollo di legalità”: una serie di norme che andavano ad incidere sulle procedure di assegnazione, con un rigido controllo antimafia che impediva l’accesso a chi era collegato ai clan. Il protocollo è poi divenuto legge nazionale allorché, nel settembre 2017, è stato recepito nel nuovo Codice antimafia approvato dal Parlamento.
Ma anche dopo l’entrata in vigore del Protocollo e del nuovo Codice Antimafia, che tanti apprezzamenti hanno ricevuto, anche a livello europeo, la mafia cercò comunque di mantenere il controllo. I mafiosi lucravano indebitamente intimidendo i nuovi assegnatari e ricattandoli. Le nuove assegnazioni sarebbero avvenute mediante una parcellizzazione dei lotti e l’assegnazione con un sistema che non favoriva la concorrenza. Spesso i lotti venivano assegnati all’unica azienda o persona che ne aveva fatto richiesta, annullando di fatto la libera concorrenza e facendo si che ciascuno ottenesse il lotto desiderato offrendo appena qualche euro in più rispetto alla base d’asta.
Una «spartizione fraudolenta dei terreni», così l’ha definita la recente sentenza del Consiglio di Giustizia amministrativa (giunta subito dopo l’operazione “New Park”). Il Cga si è pronunciato, rigettando la richiesta di un’azienda agricola contro l’interdittiva antimafia e confermando la sentenza del 2015 del Tar di Messina. Anche il Tribunale amministrativo aveva confermato l’interdittiva.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa, che in Sicilia svolge le funzioni che, nel resto dell’Italia, sono del Consiglio di Stato (secondo grado della giustizia amministrativa dopo il Tar), ha confermato non solo il singolo provvedimento, ma ha spiegato che il sistema della parcellizzazione dei lotti e l’assegnazione mediante licitazione privata, con offerte aumentate solo di pochi euro, era diventato, di fatto uno «scientifico disegno spartitorio».
«L’operazione della Dda di Caltanissetta e della Guardia di Finanza sancisce la bontà del lavoro che abbiamo fatto – spiega l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci –. L’operazione New Park conferma che fino al 2015 le associazioni mafiose avevano vita facile, certificando falsamente la propria antimafia. Dopo il 2015, hanno dovuto mutare sistema ed hanno ricattato costantemente gli agricoltori per farsi cedere i terreni o comunque per appropriarsene di fatto. Prima le richieste venivano presentate direttamente da ditte imparentate con la mafia (con i Riina, con i Santapaola, gli Ercolano, con i clan calabresi). Con il protocollo questa strada è stata loro sbarrata. Improvvisamente, i clan hanno perso un sistema di sostentamento importante, quei milioni non c’erano più. L’assegnazione dei lotti a prezzi irrisori ed i fondi lucrati dall’Unione Europea consentivano di reinvestire nel mercato della droga e di garantire il sostentamento delle famiglie anche quando un mafioso finiva in carcere: anche in quei casi nei territori il suo prestigio rimaneva intatto, le famiglie mantenevano un alto tenore di vita, i figli andavano in giro con le jeep di grossa cilindrata e con i suv. Quest’operazione dimostra la validità del lavoro che abbiamo fatto e dei successivi tentativi di aggirare le norme del protocollo. I mafiosi si recavano dal nuovo assegnatario dei lotti, reclamando l’effettivo controllo ed utilizzo del lotto. Un sistema estorsivo in piena regola: “Tu hai vinto la gara per l’assegnazione del lotto, ma il lotto deve rimanere nostro!”. Tutte le altre operazioni Nebrodi della Dda di Messina (la Nebros II) confermano questo tentativo di aggirare il Protocollo, perché è stato uno strumento che li ha bloccati».
Anche la Commissione Europea, di recente, ha avvalorato il “Protocollo Antoci” invitando (pur senza entrare nel merito delle norme che restano di competenza dello Stato italiano) a seguire le norme di quel “protocollo” del 2015 che oggi ha fatto scuola e che, di certo, ha segnato, per la prima volta, un “cambio di passo”.
«L’operazione New Park e la sentenza del Cga – afferma Antoci – sono per me come una carezza al cuore. Per chi, come me, è costretto a vivere blindato con la propria famiglia, vivendo una condizione surreale, è motivo di gioia e dà la consapevolezza che “ne è valsa la pena”. Il lavoro delle forze dell’ordine, la fase repressiva, in questi anni, ha funzionato. Ora è importante che anche lo Stato faccia la propria parte, intervenendo con misure a favore degli agricoltori e degli allevatori onesti, ma vessati dalla criminalità. Dopo gli arresti, arriverà anche il sequestro dei beni, anche di quelli che sono stati illecitamente acquisiti in questi anni grazie ai proventi milionari. Se perdono i soldi, le famiglie mafiose perdono anche il prestigio nel territorio, perdono le case, le macchine, i suv. Dal sequestro si passerà alla definitiva confisca. Inoltre, in questi anni, la Corte dei Conti ha emesso molte sentenze per la restituzione dei contributi europei indebitamente percepiti. La sentenza del Cga è l’ulteriore suggello».
Antoci, che nel maggio 2016 sfuggì ad un attentato della mafia, oggi presidente onorario della Fondazione Caponnetto e nominato dal presidente Mattarella «Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italia» per «la sua coraggiosa determinazione nella difesa della legalità e nel contrasto ai fenomeni mafiosi», ha una parola conclusiva. «Il lavoro di questi anni, le inchieste, le sentenze, stanno producendo risultati importanti. La mafia perde terreno, le famiglie mafiose non hanno più quel prestigio e quel potere. Si crea un distanziamento sociale tra esse ed il territorio che prima controllavano agevolmente. Significa che, se si lavora bene, lo Stato vince, la mafia perde».