Antigone agreste

Cinquanta minuti di appassionato teatro. Di emozionante scrittura. Di interpreta- zione sensibile. Le nozze di Antigone rivela – ma lo sapevamo già – quell’arte fabulatoria di Ascanio Celestini fatta di parole concrete ed evocative, trasferite ora nell’anima e nel corpo trepidante di Veronica Cruciani. Per lei l’autore e attore romano ha scritto questo breve racconto popolare basato su un dialogo senza interlocutore e quindi vicino al delirio. C’è una figlia che parla ad un padre che non c’è più, evocandolo. Gli si rivolge con amore protettivo, immaginandolo malato e bisognoso della solidarietà altrui. E ricorda di lui, e a lui stesso, il suo vagare di contadino – corridore lentissimo, ma camminatore instancabile – nel periodo fascista e della Resistenza; l’assassinio, per istintiva difesa, di un anziano gerarca; il matrimonio con la donna di costui; la nascita dei figli. Ed è tale la pietà verso la figura paterna da rasentare i labili confini di una calma pazzia che la fanno, infine, identificare con la madre. Una narrazione che avvince anche per l’intensa prova dell’attrice, diretta sapientemente da Arturo Cirillo. La Cruciani, calandosi dentro l’animo puro e tormentato di una fragile donna, vi immette lo sguardo di un’umanità ferita e senza riscatto con la naturalezza di una favola di sapore agreste. Si muove dentro il pavimento quadrato di una casa senza pareti, ritagliata nel buio da una semplice luce. Un tavolo, due sedie, e due file di scarpe spaiate bastano per aprirci occhi ed orecchie ad un concatenarsi di storie da lei ascoltate e a noi ripetute, per non sentirsi mai più sola. Al Vascello di Roma e in tournée.

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