Annozero

Raidue, ore 22,00, giovedì. Samarcanda ha riaperto i battenti. Lasciato il Parlamento europeo, dopo il cosiddetto editto bulgaro e anni di carte bollate e processi, sentenze e interrogazioni parlamentari, girotondi e libri, spettacoli teatrali e sit-in, Michele Santoro è tornato. Un rientro atteso, amplificato anche dal titolo dato alla sua nuova trasmissione, Annozero. È un giudizio sull’Italia di oggi, ma sembra indicare anche la volontà di segnare una nuova partenza, la scelta di mettere un punto e andare a capo per scrivere un nuovo capitolo della sua carriera, ma anche dell’informazione in tv. Quella che è andata in onda nella prima puntata sull’immigrazione, è però sembrata ben lontano dall’essere una novità epocale. Il Santoro del debutto è sembrato indeciso sulla direzione da prendere, meno concentrato e battagliero del solito. Non è da lui, ad esempio, abbandonarsi, come ha fatto alla prima, ad un esclamazio- ne qualunquistica come Qui è tutto uno schifo!. Dal punto di vista degli obiettivi, la trasmissione cerca soprattutto di raggiungere un target (i giovani) e di imporsi come un unico racconto. La svolta giovanilistica è piuttosto evidente. Sono trentenni i ragazzi in studio (inseriti in una scenografia simil aula-universitaria) e i giornalisti mandati in giro per l’Italia. Presa di peso dalla trasmissione più in voga questa estate tra i giovani (il discutibile e a volte imbarazzante Lucignolo di Italia uno) è la voce fuori campo, che distilla con toni suadenti e un gergo da teenagers, verità e giudizi sul mondo. Soprattutto è poco più che ventenne il volto nuovo lanciato da Santoro, Beatrice Borromeo, modella, nipote di Marta Marzotto, cognata di John Elkann, alla quale è affidato il compito di introdurre i temi del dibattito, recitando brani un po’ diario personale e un po’ editoriale. La contes- sina è telegenica, recita però maluccio e per di più è chiamata a pontificare su cose, che da rampolla di un nobile casato qual è, ben difficilmente fanno parte della sua vita. In bocca a lei, certe verità, suonano stonate: l’accalcarsi in metropolitana, la difficoltà di tornare a casa arrivando alla stazione centrale di Milano di notte, la vita degli immigrati nelle metropoli. Il meglio la trasmissione sembra poterlo dare sul fronte della forma. Santoro cerca di imbastire ogni puntata come un lungo racconto, dove i servizi esterni e le interviste in studio, le recitazioni poetiche e le musiche, la grafica e gli interventi del pubblico, siano coerenti ad una narrazione. La sua è quasi una regia in diretta, l’opera di un direttore d’orchestra che in tempo reale cava dagli ottoni e dalle percussioni un’unica sin-fonia. Qui Santoro torna maestro, e la sua torna ad essere una musica, di parte quanto si vuole, ma comunque indispensabile nel concerto un po’ sguaiato dell’informazione tv.

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