Anno bisesto anno funesto?
Anno bisesto anno funesto. Da dove viene la diceria che quella anomala protuberanza del calendario sia nefasta? Ovviamente, come ogni superstizione, è priva di fondamento. Negli annali non esiste nulla che avvalli il sospetto che il giorno in più porti male: guardando alla vita dell’umanità con la lente d’ingrandimento della storia si vede che il bene e il male sono distribuiti nel tempo, secondo un piano che a volte è difficile afferrare. Ma che, per chi ha fede, sa essere tracciato dalla sapiente mano dell’Eterno. E dagli inesauribili, a volte tragici, guizzi della libertà umana. Comunque, la cattiva fama del 29 febbraio ha le sue radici storiche. Che non hanno nulla a che vedere con il giorno in più, ma con il mese in cui esso cade. Fin dai tempi della fondazione di Roma, ad aggiungere februaius al calendario di allora fu Numa Pompilio, il secondo della cantilena dei sette re. Quello era il mese in cui si celebravano i februa, i riti di purificazione. Februaius era il mese dell’anno dedicato alle potenze degli inferi. Fra i riti dei februa c’erano i feralia – da cui proviene l’aggettivo ferale – che il 21 del mese aprivano le porte al ritorno dei morti. Ecco da dove viene il malincuore con cui alcuni hanno guardato al 29 febbraio. L’anno bisestile ha le sue origini proprio in Roma. Il condottiero Giulio Cesare, dopo aver soggiogato varie popolazioni, volle imdi brigliare il nemico-amico più caparbio dell’uomo: il tempo. Chiamò allora a sé uno dei più famosi astronomi dell’epoca, Sosigene d’Alessandria, e si basò sulla scienza dei greci, sui calcoli degli egiziani, sulle osservazioni del cielo dei babilonesi. Il nuovo calendario giuliano che ne venne fuori aveva l’anno di 365 giorni e non più 355 come era stato fino ad allora. Cesare, oltre a sistemare i botti di capodanno al 1° gennaio, introdusse l’anno bisestile, per mantenere il suo calendario agganciato alla sincronia delle stagioni, che tendevano a scivolare in avanti. Il giorno in più lo infilò tra il 23 e il 24 febbraio. E lo chiamò bis sexto ante kalenda Martias (cioè due volte sesto prima del primo Marzo). Infatti il 24 cadeva sei giorni prima del 1° di marzo. Da qui il nome bisestile. Da sempre, il tempo interpella l’uomo. Che tenta di comprenderlo, fin da quando, 13 mila anni fa, un uomo neolitico, presso il villaggio di Le Placard, incise su un osso d’aquila le tacche delle fasi lunari. Ma anche: il tempo sfida l’uomo. Perché può indurre al pessimismo. Evapora troppo velocemente, è così friabile fra lo scorrere delle lancette degli orologi, così delicato, come petali di rose. A tanti filosofi ha fatto parere la vita un’avventura troppo effimera per essere presa sul serio, troppo soggetta a imprevedibili singhiozzi del destino, per non essere figlia fortuita del caso. Allora: carpe diem, afferra l’attimo che sfugge, è l’unica cosa che hai. Ed ancora: il tempo ammalia l’uomo. Perché è potere. Arginare questo spavaldo fiume in piena, che non si arresta di fronte a nessun ostacolo, è stato il compito che si sono assunti vari potenti. L’imperatore Costantino, tre secoli dopo Cesare, organizzò la settimana introducendo la domenica, giorno del Signore. Giorno di preghiera, ma a quei tempi non ancora di riposo. Poi la Chiesa fissò al 6 gennaio la nascita del Signore. Questo giorno della natività, ancora celebrato da Chiese ortodosse, venne poi spostato al 25 dicembre in sostituzione della festa romana del dies natalis Solis Invicti (giorno natalizio dell’Invincibile Sole) dedicata al dio Mitra. Per festeggiare, non la festa del Sole, ma di chi aveva creato il Sole . Poi ci fu Gregorio XIII, papa guerriero assai intraprendente che teneva in gran parsimonia il tempo, di tutte le cose la più preziosa . Consultò gli scienziati dell’epoca. E s’accorse che con il calendario in essere, l’equinozio di primavera cadeva l’11 marzo, invece del 21. Allora lui, che non si tirava indietro di fronte a nulla, che fece? Con la spavalderia che lo contraddistingueva, nel 1582, cancellò di botto undici giorni del calendario. E la cristianità si trovò a passare dal 4 al 15 ottobre! È immaginabile il caos che ne venne fuori. Le proteste. Fedeli che si sentivano in peccato mortale perché non avevano santificato la domenica che era stata a loro sottratta; banchieri che non sapevano come conteggiare gli interessi; contadini che si sentivano defraudati di giorni di lavoro. In alcune zone d’Europa, che spostarono a dicembre l’introduzione della riforma gregoriana, quell’anno fu un anno senza Natale. Ci furono rivolte, tafferugli. Ma le agitazioni non turbarono il ferreo pontefice che, come un autentico uomo di potere dei tempi che furono, non cedette neanche un po’. Era certo d’aver ragione. Così fu la storia a piegarsi al suo indomito volere. Anche se per un certo periodo la Chiesa cattolica e quella luterana viaggiarono con date diverse, alla fine questa accettò il calendario gregoriano. Nel 1752 l’accettò l’Inghilterra. Nel 1918 la Russia, nel 1932 la Grecia ortodossa. Tutte le religioni hanno voluto addomesticare il tempo. La cristianità l’ha fatto con il monaco Dionigi il Piccolo (morto nel 556) che fissò l’anno 0 con la nascita di Gesù. Ma fece un errore di valutazione storica, per cui oggi sappiamo che Gesù è nato il 7 o 6 a.C. Poi Muhammad, fece scoccare l’ora dell’Islam dalla sua fuga dalla Mecca a Medina, la cosiddetta Egira. Oggi sono nell’anno 1428. Gli ebrei fanno risalire il loro calendario alla presunta data della creazione di Adamo ed Eva e ora celebrano il 5768. Ma anche baha’i, buddhisti, induisti, cinesi, persiani… hanno il loro calendario. Un calendario l’aveva imposto la Rivoluzione francese. Da noi ci provò Mussolini: ad esempio, il 1933 era l’anno 11 dell’Era fascista! Ma il tempo, anche se finge di starsene buono buono sulla parete della cucina, accatastato nella colonna mensile del calendario, se la ride alla grande. Come gran parte della creazione, esso ha una sapienza che non riusciamo del tutto ad afferrare. Noi, inguaribili geometri, vorremmo che la perfezione risiedesse in quello che a noi sembra perfetto. Ma ci sono fenomeni come: il moto di precessione degli equinozi, l’anomala sincronia delle stagioni, alcune stravaganze del microcosmo… che, per un piccolo qualcosetta, non fanno tornare i conti. E paiono rovinare la logica di quella che concepiamo come armonia. Tutto è più complicato di come vorremmo; forse è più semplice, ma impegnativo da comprendere. Gregorio cercò di sistemare il tempo con l’anno bisestile, ma anche il suo calendario è in eccesso e fra tremila anni ci ritroveremo con un giorno in più (segnatelo nell’agenda!). È questo qualcosetta che ci fa riflettere. Perché il tempo, oltre ad essere oggettivo, è una dimensione interiore. Provate a stare un minuto assieme alla vostra amata, o al vostro amato, e un minuto seduto su una stufa rovente… ben sapete che il tempo non passa nello stesso modo! Era Einstein a fare questo esempio. E le fiabe narrano spesso di buchi nel tempo, in cui in una manciata di secondi si vivono intere avventure, per poi raggomitolarsi nella normalità del quotidiano. Ma lasciando un segno. Sant’Agostino, che sul tempo ha riflettuto parecchio, affermava che esso è una distentio animi, un’estensione psicologica, e che tutto è presente: nella memoria se passato, nell’attenzione se attuale, nell’attesa se futuro. Proprio nell’attenzione con cui si abbraccia l’istante preziosissimo che è quello attuale, c’è il segreto della vita. Che non consiste nel carpe diem, ma nel vivere con tutto l’ardore il momento presente. Lì si ha il contatto con quella realtà così enigmatica che è l’eternità. La sola però che può dare significato al tempo, al suo scorrere silenzioso, fra un’alternarsi di soli e di lune, dall’alba della creazione del mondo. Perché tutti sappiamo – quando abbiamo vissuto qualche istante, qualche ora, d’autentico amore – che quegli istanti, quelle ore, ci hanno stampato nel cuore il marchio dell’eternità. Sappiamo che esiste l’eternità – che per essa siam fatti – perché abbiamo vissuto la breve eternità, come cantava Moustaki. E sappiamo che l’eternità, quella vera, è destinata ad essere il nostro duraturo calendario. Io mi sono schiantato sui tempi – diceva Agostino – di cui ignoravo l’ordine, e i miei pensieri, queste intime viscere della mia anima, sono dilaniati da molteplicità tumultuose. Fino al giorno in cui, purificato e liquefatto dal fuoco del tuo amore, confluirò in te.