Noi anni luce, la malattia ma non solo
Elsa è giovane, è bella ed è forte nello sport del canottaggio. Quando smette di remare, però, e si piega su se stessa per contenere il dolore, sua madre la porta in ospedale. Potrebbe essere stata debolezza, caldo, stress, ma i primi esami insospettiscono i medici, e da lì a breve il responso è dei più tosti: leucemia mieloide acuta. Che vuol dire pericolo di grado elevato, cambiamento drastico di ogni abitudine, paura, e poi chemio e trapianto di midollo. Per Elsa inizia un viaggio lungo e in salita, decisamente più grande della sua tenera età. Un cammino del tutto inaspettato e dall’enorme peso che inizia ad affrontare tenuta per mano da sua madre e da un ragazzo inizialmente bizzarro, loquace, diretto ed energico, conosciuto proprio in ospedale. Si chiama Edo e presto si scopre che anche lui vive la stessa patologia di Elsa. Solo che il giovane, solare e leggero nonostante l’esperienza vissuta, il peggio ce l’ha alle spalle. O almeno questo è ciò che racconta, e dunque, più o meno stregato dal fascino di Elsa, può darsi semplicemente intenerito da una condizione che prima di lei ha faticosamente vissuto – magari tutte e due le cose insieme – decide di starle accanto e di offrirle il conforto che le serve. Soprattutto si propone di accompagnarla alla ricerca del potenziale miglior donatore: quel padre di lei scomparso da sempre e sempre poco raccontato da sua madre. Quello descritto è un discreto tratto di trama di un film italiano presentato ieri, 23 luglio, in anteprima al Giffoni Film Festival. Si intitola Noi anni luce, è diretto da Tiziano Russo e sarà distribuito al cinema da Notorius Pictures dal 27 luglio prossimo. Gode del patrocinio dell’Ail, l’associazione italiana per la lotta alle leucemie, ed ha nel cast una brava Carolina Sala (Elsa), Caterina Guzzanti (sua madre), Rocco Fasano (Edo) e Fabio Troiano, quel padre misterioso di cui scopriamo la vicenda (il perchè della scomparsa) nella seconda parte del film. È il personaggio che aggiunge movimento e sale a un film drammatico ma fatto anche di qualche passaggio da commedia, oltrechè fitto di abbondanti elementi da teen drama (nei contenuti e nella forma). Un film che nel toccare col doveroso rispetto e con delicatezza un argomento tanto sensibile, lascia respirare la febbrile esuberanza di quell’età fugace e indimenticabile che è la tarda adolescenza. Un film che sceglie il contenitore del road movie e lo riempie di una sceneggiatura minimale (non sempre impeccabile) intrisa di formazione e movimentata dai vari incontri dei protagonisti: col padre di Elsa, certamente, ma anche con altri coetanei sulla strada (c’è un personaggio interpretato dalla cantante indie Laila Al Habash); elementi, figure che ampliano il fluire, nel film, della vivacità di ogni giovinezza, con sentimenti rapidamente germoglianti ed emozioni a grappolo. Che rendono Noi anni luce (anche, soprattutto, ma non solo) un film sulla malattia. Di certo un film nel quale il dolore sa far spazio alla vitalità, dove l’angoscia non sopprime la tenerezza, dove la gravità e la serietà del tema non sbarrano la strada al racconto della speranza.
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