Annamaria l’apripista
Un ricordo della collega Pericoli, per trent'anni redattrice della nostra rivista.
Un virgulto d’ulivo veniva trapiantato nel 1995 dalle colline di Gerusalemme nel giardino davanti al Centro internazionale del Movimento dei focolari a Rocca di Papa. Quel virgulto è oggi diventato un robusto alberello.
Molti ricordano ancora la cerimonia suggestiva che in quel gesto simbolico vedeva suggellata l’amicizia tra i Focolari, rappresentati da Chiara Lubich, ed esponenti del mondo ebraico sia d’Israele che della comunità romana. Pochi invece sanno che a farsi tramite di questa amicizia, iniziata anni prima durante un viaggio a Gerusalemme e proseguita poi in Italia con altre personalità ebraiche come Tullia Zevi, l’allora rabbino di Roma Elio Toaff e Lisa Palmieri-Billig, fondatrice e prima presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Roma, è stata Annamaria Pericoli, una delle firme più note di Città nuova a partire dal 1968 per circa un trentennio, finché la salute glielo ha permesso (soffriva, negli ultimi anni, di una malattia del sistema immunitario che l’ha obbligata a numerosi ricoveri).
Annamaria è stata la prima penna femminile della redazione a lasciarci, l’11 agosto scorso. Aveva 79 anni.
Negli ultimi anni la sua collaborazione era diventata saltuaria. Ma non di rado, quando occorreva affrontare un argomento di cui la sapevamo esperta, era a lei che ci rivolgevamo come a persona sicura.
Era nata a Pescara in una famiglia di alti valori umani, ma lontana dalla pratica religiosa. Dal padre, uomo dai molti interessi, aveva acquisito lo stimolo a conoscere il nuovo e il diverso. Nel 1950, a vent’anni, il suo primo contatto con i Focolari. Da allora l’incanto per la spiritualità comunitaria conosciuta e da cui era stata irresistibilmente attratta, non le era più venuto meno, esprimendosi nel sorriso che noi tutti ricordiamo. In stretto legame con Chiara Lubich, ha partecipato alle gioie e ai dolori per lo sviluppo del movimento in anni che l’hanno vista prima a Parma, nel 1955, dove ha insegnato, e successivamente a Trento, Bolzano, Buenos Aires e, dalla fine degli anni Sessanta, a Roma come redattrice di Città nuova.
Chi ha condiviso quel periodo la ricorda come una collega di impegno profondo, quasi puntiglioso, nel lavoro, sia che scrivesse testimonianze di vita vissuta, sia che si dedicasse a inchieste o reportage su tematiche di attualità.
Dietro ogni suo pezzo c’era sempre un’accurata opera di documentazione. S’immergeva in essa al punto, talvolta, da dimenticare esigenze di pasti o di orario. E tra correzioni e rimaneggiamenti non sembrava mai soddisfatta. Tanta cura, ovviamente, non sempre si conciliava con la data di consegna dell’articolo, e chi era sulle spine era Guglielmo Boselli, il direttore di quegli anni.
Ma ne valeva la pena: il risultato era sempre di alto livello, anche per lo stile, e – quel che più conta in ambito giornalistico – fatto per essere letto e compreso da tutti.
Il fatto è che Annamaria ci metteva passione, la stessa di quando accadeva di sentirla affrontare qualche tematica particolarmente stimolante. Non era soddisfatta se non quando, messe al bando le facili conclusioni, aveva sviscerato il problema. Ed era insofferente ad ogni chiusura di spirito.
Si può esser certi che da una conversazione con Annamaria si usciva sempre arricchiti. Ma non era soltanto un fatto di cultura – e la sua era vasta: era un fatto d’anima, che lei aveva grande, sì da comprendere in sé l’umanità così com’è, con le sue grandezze, le sue deviazioni, le sue tragedie.
Ecco perché a lei venivano affidati preferibilmente articoli riguardanti tematiche sociali scottanti: dai problemi degli immigrati e dei nomadi a quelli della scuola – per anni il suo campo di battaglia come insegnante – o della droga. Forse per questo, oltre che per i problemi di salute, sembrava a volte vivere in maniera drammatica certe situazioni: le aveva prese su di sé, fatte sue.
Un campo invece in cui Annamaria ha fatto da apripista è stato quello del dialogo con altre culture e religioni: basti pensare al suo delicato amore per l’Islam o – come abbiamo accennato – per l’ebraismo, mondi nei quali aveva maturato una notevole esperienza anche per l’amicizia con molti esponenti di queste religioni sorelle.
Nei suoi articoli non trovavamo moralismi, considerazioni ovvie, risposte facili che finiscono col banalizzare il mistero del dolore umano, ma piuttosto partecipazione, comprensione. Per questo e altro, noi di Città nuova con tutti i lettori che l’hanno apprezzata non possiamo che esprimerle affetto e gratitudine.
Fiera onestà intellettuale
Dicono bene i nostri sentimenti queste parole lette durante la cerimonia funebre. Sono di Lisa Palmieri-Billig, membro dell’American Jewish Committee, corrispondente in Italia del Jerusalem Post e vicepresidente per l’Europa della Conferenza mondiale delle religioni per la pace:
«Cara Annamaria, cara amica, sei partita troppo presto – per la vita tua ma anche per la mia. Ma forse non c’è mai un momento giusto per la separazione fra persone che sono riuscite a comunicare in fondo all’anima a condividere le proprie visioni di un mondo più giusto, più intelligente, più libero, più pieno di amore.
«Ti eri fatta una vera cultura approfondita del pensiero ebraico che si rifletteva nei tuoi scritti e nel tuo lavoro editoriale per Città nuova.
«Per me, oltre il tuo impegno spirituale – che io condividevo a modo mio e nel contesto della mia formazione e storia di vita – oltre l’impegno “focolare”, tu mantenevi intatto uno spirito indipendente di fiera onestà intellettuale, che si rifletteva in ogni tua parola in uguale misura con la generosità di affetto e la tenerezza con cui tu filtravi ogni giudizio umano».