Anna Frank raccontata dalla sua migliore amica Hannah
La dolorosa, tragica storia di Anne Frank – racchiusa nelle pagine del suo diario – è stata già (diverse volte) portata al cinema. La più importante nel 1959: con una pellicola tratta da un’opera teatrale precedente al film, sempre costruita a partire dai fogli scritti dalla giovane Anne nel nascondiglio di Amsterdam.
Presentata al Festival di Cannes con il titolo Il diario di Anna Frank, l’opera fu diretta dal regista George Stevens e vinse ben tre premi Oscar. Ma tra le varie trasposizioni audiovisive della triste sorte toccata ad Anne, vale la pena ricordare anche una recente docu-fiction dal titolo Vite parallele, dove Helen Mirren – la grande attrice inglese – ripercorre le pagine del diario e la vita di questa figura suo malgrado simbolica, iconica, importante per comunicare l’orrore della Shoah, affiancandole la storia di altre 5 donne deportate, da bambine o più grandi, ma sopravvissute ai campi di concentramento.
Il 27 gennaio, pochi giorni dopo la Giornata della memoria – direttamente sulla piattaforma Netflix a partire dal 1 febbraio prossimo – arriva un nuovo film che ci racconta la tragica sorte toccata alla piccola ragazzina ebrea di nazionalità tedesca, ma nel riproporre la sua vicenda sceglie un punto di vista inedito: quello di una sua amica, Hannah Goslar, anch’ella ebrea, anch’ella tedesca trasferitasi con la famiglia ad Amsterdam e anche lei deportata nel campo di Bergen-Helsen, dove Anne morì tra il febbraio e il marzo del ’45 insieme a sua sorella Margot.
L’amica invece si salvò, ed è ancora viva: ha 92 anni e vive in Palestina, dice la didascalia finale del film. Ha avuto 7 figli, 38 nipoti e 27 pronipoti, portando a termine quella che – sempre nel finale del film – viene definita la “loro vendetta su Hitler“. L’opera, dal titolo Anne Frank: La mia migliore amica, diretta dal regista Ben Sombogaart, è costruita su due linee temporali alternate: la prima è quella del tempo precedente al nascondiglio di Anne; la seconda è quella nel campo di concentramento. Se nella prima vediamo due adolescenti di fatto normali, con la loro sana voglia di vivere, seppure costrette in un contesto aberrante – ovvero quello dell’occupazione nazista in Olanda con le forti discriminazioni nei confronti degli ebrei -, nella seconda – in cui la protagonista è soprattutto Hannah – entriamo nel lager e ne respiriamo la violenza e l’orrore.
Se nella “linea narrativa A” vediamo persone costrette a portare una stella gialla sul petto, a vivere nel terrore della deportazione, a non poter andare al cinema e a dover frequentare scuole per soli ebrei, nella “linea B” – in cui i colori comunque accesi della prima parte si desaturano verso il grigio e il marrone – assistiamo alla fame, alla sopraffazione, all’umiliazione di innocenti di ogni età. In questa traccia Anne si trova in una parte del campo adiacente a quello dell’amica Hannah, che la cerca, la trova e riesce a darle qualcosa da mangiare, riuscendo a intravedere dall’altra parte della recinzione l’amica in condizioni di profonda sofferenza, ma ribadendo, con questo rischioso e nobile gesto, il profondo legame che la lega a lei.
Ecco, tra esaltazione e negazione dell’umanità, tra luce e buio, nel contrasto tra il racconto di due giovani amiche che nonostante tutto vivono la loro normalità fatta di scoperte, desideri, sogni, di una sacrosanta leggerezza, e l’assurda e sempre più agghiacciante escalation di violenza perpetrata nei loro confronti, sta il cuore, il lavoro del film: il difficile compito che viene svolto con una sufficiente capacità di scuotere, di toccare l’emotività e per questo anche quest’opera che sceglie un punto di vista laterale della storia di Anna Frank, può aiutarci a portare avanti la nostra necessaria missione collettiva di non dimenticare mai.