Anna, una figlia speciale
Chiara, il libro racconta – seppure con qualche piccola licenza narrativa – la storia della malattia genetica diagnosticata a tua figlia dopo la nascita, e del trapianto di midollo che ne è seguito: come mai la scelta di dare alle stampe qualcosa di così intimo e personale?
Non è stata una scelta scontata, e credo che non l’avrei fatta nell’immediatezza di questi eventi; ma il punto d’arrivo di un percorso, fatto anche insieme a mio marito. Dopo che, fortunatamente, il peggio era passato, ci siamo infatti chiesti se raccontare al vasto pubblico questo mondo poco conosciuto – ossia quello delle malattie rare, dei medici e ricercatori che vi lavorano, e delle famiglie che sono coinvolte – fosse una cosa giusta da fare. Siamo giunti alla conclusione che sì, lo era; e così, quando alcuni mesi fa si è concretizzata l’occasione di scrivere un libro per la collana Passaparola, ci siamo trovati in sintonia con Città Nuova nello scegliere questo tema. Peraltro, mi piace pensare questo libro anche come modo per raccontare a nostra figlia, quando avrà l’età per capirlo, ciò che le è accaduto; nonché per dare voce ai tanti bambini e alle tante famiglie che ogni giorno si confrontano con malattie rare, e magari non ce la fanno. Perché è soprattutto per loro che dobbiamo mantenere viva l’attenzione su questi temi.
Che cosa vorresti che si conoscesse quindi di questo mondo?
Innanzitutto il fatto che non è un mondo lontano: le malattie rare sono sì – appunto – rare, ma rare non significa inesistenti, e quindi a tutti può capitare di averci a che fare direttamente o indirettamente (per quanto, beninteso, non lo si auguri a nessuno). Poi che non è vero che non riguarda chi queste malattie, fortunatamente, non ce le ha: la ricerca medica che si fa in questo campo spesso trova poi applicazione anche per usi molto più vasti. In terzo luogo, che queste sono esperienze dure, tanto da apparire inaffrontabili, ma che lo possono diventare con il giusto sostegno – di medici, amici, familiari; e che ciascuno di noi può trovarsi ad essere la persona giusta per dare questo sostegno. Quarto, l’importanza della donazione di midollo osseo, del cordone ombelicale e della ricerca: ambiti in cui ciascuno di noi può contribuire – donando cordone o midollo, chi può, o donando alla ricerca. Infine, in un momento come quello attuale, un ricordo che la scienza medica è fatta da uomini e donne che si spendono fino all’ultimo per il bene dei pazienti, non da gente che ordisce strani complotti.
Nel tuo precedente libro scritto per la collana Passaparola, “Fame d’amore” – anch’esso una storia vera, la tua esperienza con l’anoressia -, avevi concluso dicendo che la tua era una storia che continuava; accennando peraltro anche al tuo desiderio di avere un figlio, che all’epoca non si poteva realizzare. Possiamo dire che questo è, per così dire, il sequel?
Potremmo vederlo così, anche se non è il sequel che mi sarei immaginata: nel senso che non avrei immaginato di avere un figlio, e ancor meno di averne uno con una malattia di cui nemmeno conoscevo l’esistenza. A dire il vero, anche dopo che ci è stata comunicata la diagnosi, non avrei saputo immaginare come sarebbe stata questa esperienza. Diciamo che la vita, come spesso accade, ha superato ogni più fervida fantasia letteraria: e forse è proprio questo che ho voluto raccontare.
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