Anna Bolena, regina infelice

Rieti, per il Reate Festival 2013, Fabio Biondi, il complesso Europa Galante ed il Belcanto Chorus hanno proposto la versione dell'opera di Donizetti eseguita nel 1840 alla Scala. Edizione interessante, con scarsi tagli per fortuna, con cantanti giovani, molto promettenti
Locandina della manifestazione

Che Gaetano Donizetti sia un maestro nel creare personaggi femminili di grande spessore psicologico non lo si dirà mai abbastanza. La serie della saga Tudor – opere come Anna Bolena, Roberto Devereux,  Maria Stuarda – lo dimostra. Donne divise tra amore e potere, più spesso tragiche eroine dell’amore, vittime del tempo e del loro stesso desiderio d’affetto.

Situate in epoca Tudor questi drammi hanno in comune il vittimismo d’amore, la gelosia dei cortigiani o dei potenti di turno e la morte come estrema liberazione, vissuta in uno stato di semifollia.

Romanticismo allo stato puro, si direbbe, ma rivestito di una carica di pathos così stringente e struggente, di un’umanità così vera che queste donne, anziché burattini fantasiosi dell’assurdo come è spesso il teatro d’opera, diventano creature in carne ed ossa: vive, grazie alla bellezza della melodia, all’intelligenza della strumentazione e ad uno svolgimento drammatico che procede per grandi balzi sino all’acme finale dove tutto il dolore viene sublimato in amore, giungendo alla catarsi.

Anna Bolena è il primo dramma della serie Tudor, opera in cui Donizietti nel 1830 si rivela genio indipendente da Rossini e compagni al Teatro Carcano di Milano. A Rieti, per il Reate Festival 2013, Fabio Biondi, il complesso Europa Galante ed il Belcanto Chorus hanno proposto la versione 1840 rappresentata al Teatro alla Scala: ed è la prima volta in epoca moderna. Nemmeno quaranta orchestrali (l’organico del 1840 appunto), un palcoscenico grazioso, ma piccolo al Teatro Vespasiano, un coro ridotto (ma molto efficiente, specie  le parti femminili), scene essenziali di Michele Dalla Cioppa, una regia sobria di Cesare Scarton ed un gruppo di giovani cantanti.

Per chi avesse avuto nella mente le incisioni delle grandi soprano – Callas, Ricciarelli, Sutherland – occorreva dimenticarle perché qui era altra cosa. Non direi in senso negativo: c’era un gruppo di cantanti giovani, alcuni dei quali appaiono davvero molto dotati.

La protagonista Marta Torbidoni si mostra attrice equilibrata, voce dai fiati estesi, dal timbro trasparente, capace di melodiosità lunghe, nonostante alcuni acuti “sforzati” per il pubblico, ma soprano intelligente e di futuro successo belcantistico. La Torbidoni incarnava l’Anna Bolena 1840, in cui Donizetti abbassò la tonalità in favore del soprano del momento Amalia Schutz-Oldosi, mentre la prima versione contava sulla sublime Giuditta Pasta.

Anna è donna dolente sin dal primo atto, precipita verso la tragedia a causa della passione di re Enrico per la Seymour, con toni di sdegno sino al finale onirico fra preghiera e follia. La Torbidoni, giovane talentuosa, occorre dirlo, si è destreggiata bene, in una parte anche faticosa fisicamente, dove è quasi sempre in scena. Molto bella la voce  di Martina Belli come paggio Smeton, mentre Laura Polverelli come Seymour è apparsa affaticata.

Quanto alle voce maschili l’Enrico di Federico Benetti  –scenicamente immobile- appariva  un poco timido, mentre il Rochfeort di Dionisos Tsantinis sfoggiava  gran volume di voce ma in scarso equilibrio con il cast, specie nei concertati.

Orchestra ridotta, con scarsi archi – e si sentiva – ma efficiente e condotta da Biondi con notevole impegno. Edizione certo interessante, con scarsi tagli per fortuna, e rivelatrice ancora una volta di un Donizetti grande impaginatore drammatico, carico di umanità e di cantanti giovani, molto promettenti. Il festival continua  fino al 10 novembre, giorno in cui si eseguirà “Un giorno di regno”, opera seconda di Giuseppe Verdi.

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