Anime alla deriva
S’odono echi di tragedia greca: da Ecuba a Edipo. Ma anche di presenze contemporanee, Beckett, Koltès, Sarah Kane: un concentrato di atmosfere teatrali depositate nella penna della giovanissima Letizia Russo di Tomba di cani, testo premiato col Todelli 2001, ora tradotto superbamente per la scena da una regista sensibile quale è Cristina Pezzoli con l’Associazione Teatrale Pistoiese. E sospettiamo una maturità precoce – umana e letteraria – insieme ad un istinto di scrittura, per spiegare la capacità della drammaturga romana di comporre a soli vent’anni un testo di così potente forza evocativa in cui la crudezza della guerra rompe la favola della fanciullezza. Stupisce per come Letizia Russo lavora con le parole. Non si autocompiace: è asciutta nel descrivere il male, il dolore, l’angoscia, i rimorsi, la menzogna, il tradimento. Si parla di un conflitto bellico e dei suoi effetti devastanti negli animi e nei rapporti familiari. In un luogo abitato da personaggi degradati ad una condizione di sopravvivenza, si consuma l’attesa della fine di una lunga guerra per il controllo dell’acqua (allusione al petrolio). C’è una madre spietata e dura, sulla carrozzella, cieca per essersi strappata gli occhi dopo che le hanno ucciso la figlia; c’è l’altro figlio, riformato alla leva, e costretto ad accudirla. E c’è una donna sposata che aspetta da lui un bambino. Vorrebbero abortire prima del ritorno dal fronte del marito, che una falsa lettera fa credere morto, ma destinato a ricomparire e a farsi vendetta. E ci sono altri due personaggi impegnati in loschi traffici di pulizia etnica. Su questo sfondo di follia e disumanità domina fra tutti la menzogna, privata e collettiva, presto tramutata in confessione di sé stessi. Tra lividi bagliori, in un interno diroccato con al centro una botola custode di una vasca d’acqua – luogo di purificazione -, rantolano come cani braccati da un destino di autodistruzione sei magnifici interpreti, ruotanti attorno alla toccante interpretazione di Isa Danieli e di Peppino Mazzotta. Uno spettacolo che colpisce al cuore e lascia tracce di pietà. Specie in quell’ultima scena: la madre cieca che accompagna il figlio mutilato. Profughi di un’ennesima odissea. Al Vascello di Roma. UNO SGUARDO SOSPESO Dramma storico dell’emigrazione, ma anche umano, delle radici culturali spezzate e dei disagi esistenziali generati, Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller non conosce l’usura del tempo.Nella nuova edizione di Patroni Griffi per Teatro di Messina, accentuando la curvatura dialettale che ha in Sebastiano Lo Monaco l’interprete principale, a prevalere è una tonalità di dramma “rusticano”. La vita dell’italoamericano Eddie Carbone, scaricatore porto a New York, viene turbata dall’arrivo di due clandestini, cugini della moglie, ospitati in casa sua. La tragedia scatta per la gelosia verso la nipote Catherine, allevata come una figlia, perché innamorata di Rodolfo, uno dei due fratelli. Eddie, infrangendo il suo stesso “codice d’onore”, giunge a denunciarli alla polizia per farli rimpatriare, rimanendo però vittima del maggiore di loro. La maestosa scena di Aldo Terlizzi col ponte metallico sovrastante le mura domestiche, sembra assurgere a monumento simbolico: linea di confine tra vecchio e nuovo mondo, tra realtà e sogni. Come quelli di tanti immigrati di oggi.