Anima del mondo

Pioveva quella sera, un cielo plumbeo gravava sulla città e l’umidità penetrava nelle ossa. Rari i passanti. Sotto l’ombrello, un’anziana signora tornava frettolosamente a casa. All’incrocio con un’altra via si vide venire incontro un giovane con cappuccio. Ebbe appena il tempo di guardarlo in viso che l’altro svicolò, ma lei rimase colpita dal sorriso sul volto assorto dello sconosciuto. In chi sa quali pensieri era immerso, si chiese l’anziana. Una vincita al gioco? Il ricordo di una persona amata o di uno spettacolo comico? Anche a lei talvolta, nei momenti più impensati, era capitato di illuminarsi al pensiero di qualcosa di piacevole. Ora non accadeva più da tanto tempo, un po’ per gli acciacchi e un po’ per i dispiaceri di tutta una vita. Ma anche se fuggevole, l’incontro con quel sorriso l’aveva colpita e per un istante riscaldata.
Lasciamola rincasare e seguiamo invece Matteo: così si chiamava quel diciannovenne che sotto la pioggia sorrideva al mondo. Cosa gli era successo per essere così contento in una giornata così?
Tornava da un… come definirlo? Incontro spirituale o conferenza? La stessa indeterminatezza con cui vi era stato invitato dall’amico Giovanni l’aveva incuriosito. Il fatto poi che il luogo dell’appuntamento si trovava in una zona mai frequentata della sua città l’aveva deciso ad andarci. Ma al di là di queste motivazioni superficiali, la verità era che da quando, per la prima volta, aveva comprato un Vangelo e in aggiunta un rosario, provava aspettative e sensazioni indefinibili che lo mantenevano interiormente “in ebollizione”. Fra l’altro, come effetto della lettura ripetuta dei quattro evangelisti (sì, aveva scoperto che i Vangeli erano quattro!), aveva letteralmente messo a riposo i suoi amati romanzi: l’avrebbe pensato possibile solo pochi mesi prima?
Anche i programmi televisivi avevano perso interesse per lui. Altre e più incisive immagini gli suscitava Gesù che sulle rive del lago di Tiberiade chiama ad uno ad uno i discepoli, che s’intrattiene con loro, che assediato dalle folle predica il regno e guarisce malati, che sale il Calvario… Non solo. Si era destato in lui il bisogno di pregare, ma non con le formule imparate da bambino: era un modo nuovo di rivolgersi a Dio, con altre parole, le sue, e conseguentemente un bisogno di trovarlo – oltre che nella sua Parola – anche in chiesa, nei sacramenti: ciò che agli occhi dei familiari, sorpresi da questa trasformazione, costituiva la novità più appariscente.
Fino al giorno di quell’appuntamento. La giornata, già grigia e uggiosa, non invogliava a muoversi di casa, ma Matteo reagì anche per il desiderio di rivedere lì Giovanni, l’amico che col suo impegno di catechista in parrocchia era per lui un modello. Dopo un lungo percorso col bus, all’indirizzo segnalato trovò un istituto religioso, il portone già aperto. Un cartello all’ingresso indicava con una freccia la sala dell’incontro. Entrò un po’ esitante. C’erano ancora poche persone, per lo più intente a chiacchierare tra loro (era infatti arrivato con un certo anticipo). Da qualcuno ricevette anche cenni cordiali di benvenuto. Anzi gli si avvicinò un tipo sulla cinquantina, capelli grigi, corporatura massiccia, occhi vivaci. «Ciao, mi chiamo Mariano, faccio il maestro elementare… e tu?». Durante le presentazioni, Matteo si stupì per il tono familiare di Mariano e quando si sentì invitato a dargli del tu acconsentì con un certo disagio, trattandosi di una persona più anziana e appena conosciuta. Per scioglierlo dall’imbarazzo, l’altro con un sorriso aggiunse: «Sì, anch’io le prime volte ero come te, ma poi… Scusami un momento, stavo finendo di preparare un cartellone, ma ritorno tra poco».
La sala si andava popolando, si animava, ma di Giovanni non c’era traccia. Avrà avuto un imprevisto, pensò Matteo un po’ deluso. Con l’amico si sarebbe sentito più a suo agio… Ah ecco di nuovo Mariano! «Adesso cominciamo!», lo avvisò l’altro, sedendosi accanto a lui. Nel frattempo erano comparse tre ragazze, una con uno strumento simile ad una chitarra, ma molto più piccola, un’altra con un tamburello, che piazzate davanti ad un microfono intonarono in lingua spagnola una canzone dal ritmo vivace. Dovevano provenire dal Latino-America, a giudicare dalle fisionomie. Riscaldata così l’atmosfera e dopo gli applausi, sopra una pedana si presentò in giacca e cravatta un signore occhialuto, capelli neri e ricci, il cui caloroso benvenuto ai presenti riuscì incoraggiante anche per Matteo.
Aveva tra le mani una rivista, l’aprì e si accinse a leggere – annunciò – un testo cristiano del secondo secolo, di cui si ignorava l’autore ma non il destinatario, testo noto come Lettera a Diognèto. Forse per smorzare l’aria dottorale dovuta alla presentazione di un così antico documento, spiegò: «Sapete come questo scritto si è salvato per miracolo dalla distruzione ed è pervenuto fino a noi? Nel 1436 un giovane chierico, un certo Tommaso d’Arezzo, andato a Costantinopoli per studiare il greco, trovò lì per caso in un mercato, tra la carta usata da un pescivendolo per avvolgere il pesce, dei fogli ricoperti da una scrittura che riconobbe come antica… era questo prezioso manoscritto!». L’interesse del pubblico s’era ormai acceso. In silenzio, tutti si disposero ad ascoltare la lettura del breve testo.
Fin da subito Matteo drizzò le orecchie. Fresco di lettura dei Vangeli, non sapeva nulla però di altri scritti dei primi secoli, nulla delle grandi opere dei Padri della Chiesa. Tutt’al più – ma non ne sono certo – aveva sentito nominare sant’Agostino e le sue Confessioni. Diognèto… Chi era costui? avrebbe detto come il don Abbondio dei Promessi sposi.
Man mano che l’occhialuto leggeva, cresceva in Matteo l’attenzione, se non addirittura l’emozione. Sì perché certe frasi gli risuonavano dentro come se in modo speciale riguardassero proprio lui, o meglio il proprio dover essere:
I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere…
Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera…
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi…
Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria… Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo.
Seguirono alcune testimonianze di giovani e anziani, anche di una famiglia intera: genitori e due bambini piccoli. Erano semplici episodi di vita ordinaria, che però apparivano speciali perché vivificati dal Vangelo… A Matteo poi sembrarono quasi il seguito o il commento del testo di poco prima. Sicché quello non era solo un bel pezzo letterario di duemila anni prima, ma trovava un riscontro nell’oggi nel quale anche lui era immerso. Di più: gli forniva la chiave per mettere in pratica ciò che l’aveva affascinato delle sue nuove letture. Infatti il tizio che aveva scritto a Diognèto parlava di cristiani al plurale, riferendosi non ad un singolo, ma ai membri di una comunità. Di qui l’intuizione della difficoltà di attuare il messaggio di Cristo, e in particolare il suo comandamento nuovo, da persona singola qual era lui: occorreva il “due o più”, l’inserimento in una comunità, in cui trovare alimento spirituale e iniziativa.
Per questo, quando si congedò da Mariano e da qualcun altro col quale era rimasto a scambiare qualche parola o un saluto, Matteo era intimamente certo che quella serata avrebbe avuto un seguito. E intanto non vedeva l’ora di raccontare tutto a Giovanni.
Per questo, quando nel rientro a casa incrociò quell’anziana signora – senza peraltro far caso a lei –, Matteo sorrideva: ripensava a certe frasi udite che, impresse nell’anima, assaporava quasi ripetendole col pensiero: …vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo… sono poveri e rendono ricchi molti…. Rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo…
Non poteva, questo entusiasmante programma, costituire l’ideale di una vita, la sua?
Oreste Paliotti – 14 febbraio 2025