Angelo di Natale
Faccio il poliziotto da più di trent’anni – scorte a magistrati, rapine, sparatorie, appostamenti… –, per cui ne ho viste di tutti i colori e sapori. Un mestiere brutto, perché si è sempre a contatto con il male, anzi con il malessere della natura umana.
Ogni mattina prendo il tram per andare in ufficio e incontro un signore che sembra sbirciarmi, ma non lo dà a vedere. Porta sempre lo stesso soprabito, ma nell’insieme veste con cura e ricercatezza. Ha superato la sessantina, è un po’ stempiato, porta con sè sempre la stessa borsa, piuttosto vecchia e ben piena, non so di cosa.
La mia natura sospettosa e indagatrice, con la complicità di un po’ di deformazione professionale, mi spinge a cercare di capire chi sia e cosa faccia, ma lui non fornisce nessuna esca che mi consenta di capire. Scende una fermata prima della mia. Ha un atteggiamento serio, impenetrabile, che non cambia.
I nostri sguardi non si incrociano. Io lo guardo di sottecchi, ma lui sembra non guardare mai nella mia direzione. Mi viene il dubbio e la curiosità, forzatamente professionale, che abbia qualcosa da nascondere. Una mattina, anche se fa molto freddo, decido di scendere una fermata prima della prefettura: voglio vedere da che parte va….
Comincia a camminare con andatura spedita nella stessa direzione in cui devo andare io; lo seguo ad una certa distanza, con apparente indifferenza. Improvvisamente si gira e viene verso di me. Istintivamente avvicino la mano alla pistola che porto dietro, ma appena mi è da presso il signore misterioso sfodera uno splendido sorriso, quasi angelico, guardandomi dritto negli occhi.
Finalmente vedo il suo sguardo, che è semplice, disarmante, buono. Resto per qualche secondo inebetito e la mia mano scende lungo la schiena abbandonando l’opzione “pistola”. Mi rivolge la parola, sorridendo ancora…
«Dottore, si rilassi! Ma lo sa che giorno è oggi? E’ il 24 dicembre! Buon Natale, ispettore!». Vedendo la mia perplessità continua: «Vuol sapere chi sono e cosa faccio? Sono un medico della Polizia in pensione. Dove vado ogni mattina? Sono un volontario: porto assistenza ad un nostro sfortunato collega, inchiodato su una sedia a rotelle».
A questo punto mi sento un po’ un verme e abbozzo un sorriso. Lui continua: «Lei non si ricorda di me, non può, ma io sì. Dieci anni fa le ho prestato i primi soccorsi quando fu ferito durante la rapina al Banco di Sicilia: era quasi svenuto, perdeva molto sangue ed io ho bloccato l’emorragia. Adesso può rilassarsi veramente!».
Mi sento sollevato, ma nel contempo provo un po’ di vergogna per il mio abbaglio. Vorrei dire qualcosa per riparare alla mia figuraccia, ma non mi viene in mente nulla: soltanto ricambio il suo sorriso. Dopo avermi rimirato per qualche istante, tenendomi la mano sulla spalla, mi abbraccia e mi saluta cordialmente, riprendendo la sua strada.
Che sciocco sono! Adesso ricordo quel sorriso attraverso la nebbia delle immagini traumatiche della rapina… ma non ricordo il suo nome… bah… lo chiamerò: angelo di Natale!