Ancora un referendum per l’indipendenza!

In Nuova Caledonia entro un anno si svolgerà un referendum per l’indipendenza delle isole del pacifico che sono ancora territorio francese. La questione non insignificante delle liste elettorali
Il primo ministro francese Eduard Philippe e il presidente Macron all'incontro con i rappresentanti della Nuova Caledonia all'Eliseo lo scorso 30 ottobre.

Chi sa dove sono le isole della Nuova Caledonia? Ripasso di geografia: situata a 1500 km dalla costa orientale dell’Oceania, è composta da 33 comuni, sparsi su una dozzina di isole, una delle quali è molto più grande delle altre (la Nuova Caledonia, appunto). È una “collettività locale” con uno status speciale, diverso da quello degli altri territori extraterritoriali francesi. Viene amministrata da un alto commissario. A livello territoriale, il governo viene esercitato da un Congresso formato dai componenti delle Assemblee provinciali, per un totale di 54 membri. Le tre Assemblee provinciali vengono elette a suffragio universale ogni 5 anni. A Parigi, nel Parlamento, siedono un senatore e due deputati caledoniani. Il territorio divenne francese solo nel 1853, dopo un’aspra contesa con i britannici e divenne una grande prigione.

La vita politica ed etnica caledoniana non è semplice, perché la popolazione indigena melanesiana ormai è una minoranza: i kanak non sono che il 44% della popolazione, per il resto composta dai discendenti dei deportati francesi, conosciuti come caldoche, oltre che da una piccola minoranza di varie nazioni asiatiche. La spinta indipendentista non è nuova nel Paese. Negli anni ’80 vi furono incidenti e attentati guidati dal Fronte di liberazione nazionale kanak socialista (Flnks) capeggiato da Jean-Marie Tjibaou, guarda caso assassinato nel 1989. L’anno prima erano stati firmati a Matignon degli accordi che davano maggiore autonomia alla regione. Negli accordi era scritto che si sarebbe dovuto tenere un referendum entro il 2018. Un altro accordo, firmato a Nouméa il 5 maggio 1998, precisava alcune non secondarie norme di transizione. Parigi ha scelto di tenere il referendum al limite temporale ultimo disponibile.

È di questi giorni un altro accordo, siglato sempre a Matignon, tra l’attuale primo ministro Eduard Philippe, i ministri per i territori extraterritoriali francesi e i principali leader locali, favorevoli o contrari all’indipendenza. Dopo lunghissime trattative, si è giunti a siglare l’accordo sulla lista elettorale dei partecipanti al voto. In effetti, il sistema caledoniano prevede tre tipi di elezioni, e quindi tre liste elettorali: generale, provinciale e speciale. Ora, questa lista speciale non corrispondeva a quella generale, perché di quest’ultima non faceva parte un numero consistente di contadini kanak, circa 22 mila. Con questo accordo circa la metà è stata inserita nella lista generale, da cui verrà poi formata quella speciale per il referendum. Discorso analogo, ma molto minore, riguarda i non-nativi non iscritti ancora alla lista speciale, che dimostrassero di essere residenti nell’isola da 20 anni.

Il primo ministro sembra essere giunto all’accordo in modo inclusivo, il che è un bene, dopo decenni di forti contrasti tra Parigi e Nouméa. Il processo di autonomia e d’indipendenza è ora possibile. Ma non è detto che vada in porto, perché tra i 160 mila elettori la maggioranza non è nativa, e quindi pare avere tutto l’interesse a rimanere sotto le ali protettrici di Parigi.

Pare arcaico parlare di indipendenza per i kanak, una popolazione che vive a decine di migliaia di chilometri dalla Francia e che ancora non ha raggiunto il suo sogno di liberarsi dal dominio francese. Il colonialismo d’Oltralpe, dicono alcuni osservatori, non è ancora finito, mentre altri sostengono al contrario che la popolazione nativa abbia tutto l’interesse a rimanere in contatto con Parigi, altrimenti scivolerebbe in una povertà ormai sconosciuta nell’isola. Tutto il mondo è Paese: queste due argomentazioni sono le stesse proposte a proposito di Catalogna e Kurdistan iracheno.

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