Ancora sui principi non negoziabili: perché devono stare insieme
I principi “non negoziabili” sono l’oggetto dell’Editoriale della rivista «Nuova Umanità» n° 206.
Il testo si può leggere in questo stesso sito[1]. L’Editoriale è stato oggetto di alcune osservazioni critiche da parte di Stefano Fontana, in un articolo pubblicato nel sito dell’Osservatorio Van Thuan[2]. Consiglio di leggere entrambi i testi già pubblicati. Intendo qui, in un primo momento, commentare le critiche. Mi sembra opportuno, poi, dedicare maggiore spazio ad aprire ulteriori prospettive.
1. La coscienza e la maggioranza
Il primo passo consiste nello sgombrare il campo da alcune affermazioni che il mio Editoriale non contiene e che invece gli sono state attribuite; ne prendo in esame alcune, lasciando perdere altri punti di minor conto:
A- non è vero che escludo il ricorso all’obiezione di coscienza; al contrario, nell’Editoriale si legge che è «obbligo di coscienza per il cattolico esprimere la completezza delle proprie convinzioni relativamente ai “principi non negoziabili” […] senza sottomettersi ad alcuna forma di disciplina contraria alla propria coscienza etico-politica». A ciò aggiungo che la coscienza del cattolico – ma non solo del cattolico, bensì di ogni persona di buona volontà – deve agire costantemente, in ogni fase del procedimento politico, perché il fine non giustifica i mezzi e, dunque, ogni singolo atto politico deve essere un atto buono. È ciò che raccomandano le nozioni elementari di morale, che distingue una coscienza “antecedente” (quella che precede e valuta l’azione; in campo politico, potremmo dire che è il momento nel quale si fanno i progetti, o si valutano i progetti altrui: è il momento della scelta dei contenuti), una coscienza “concomitante” (cioè che accompagna l’azione; in politica è la fase del dibattito, della lotta per convincere gli altri della bontà delle proprie idee, delle ricerca di alleanze e della negoziazione per la realizzazione del progetto, è la fase dei mezzi), una coscienza “consecutiva” (che prende in considerazione l’azione compiuta, o la legge che è stata emanata, per valutare moralmente ciò che si è fatto giuridicamente). L’obiezione di coscienza è solo l’ultimo atto, ciò che rimane da fare alla persona quando si trova di fronte ad una legge che considera moralmente ingiusta;
B- non è vero che secondo l’Editoriale la verità dei principi non negoziabili venga decisa dalla maggioranza; al contrario, l’Editoriale assume a base del suo ragionamento la posizione dell’allora (2002) cardinal Ratzinger il quale, nella Nota dottrinale riguardante l’impegno politico dei cattolici, sostiene che i “principi non negoziabili” sono tali «per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale»[3]. Il problema è che tali principi non sono evidenti a tutti; se lo fossero, neppure la Nota del cardinale Ratzinger sentirebbe la necessità di spiegarli. La verità di ciò che il cattolico crede in virtù della sua fede e che, allo stesso tempo, conosce grazie alla retta ragione (i principi non negoziabili, appunto) non viene affatto decisa dalla maggioranza; ma le decisioni politiche, le leggi, quelle sì vengono decise a maggioranza, senza che questo modifichi le convinzioni sui principi del cattolico. I principi non negoziabili dovrebbero costituire il fondamento di verità della società – sottratto alle opinioni delle maggioranze di turno –, perché la politica ha bisogno non solo di opinioni, ma anche di verità. Normalmente, almeno alcuni di tali principi vengono assunti dalle democrazie, che li traducono in linguaggio politico facendone dei principi costituzionali, cioè la base per tutte le altre leggi; i principi costituzionali hanno la funzione delle verità fondative, quelle che i popoli riconoscono nei momenti difficili, nei grandi avvenimenti che portano, ad esempio, alla liberazione di un Paese occupato, alla costituzione di uno Stato. Ma anche questo, nella storia dei popoli, viene appreso attraverso le esperienze ed elaborato nell’evoluzione delle culture; e tutto diventa, in democrazia, oggetto di dibattito. Proprio per questo, all’interno del dibattito politico i principi vengono discussi e il politico cattolico partecipa a tale dibattito cercando di far capire quei principi, di farli accettare ed applicare nelle leggi, facendo maturare la società nel suo insieme.
Ed è possibile che nel corso di tali dibattiti, cioè attraverso l’esperienza storica, si comprendano sempre meglio anche i contenuti dei principi non negoziabili. Essi infatti, nella forma della Verità rivelata, sono dati fin dall’inizio alla Chiesa; ma questa Verità ricevuta deve essere sempre meglio compresa lungo la storia umana; è un cammino comune e collaborante quello che si deve costruire, tra la Chiesa e l’umanità, nei termini in cui lo illumina il Magistero in documenti fondamentali per il nostro tempo, quale la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II.
C- Un’ulteriore considerazione: l’invito a non giocare con le parole. Stefano Fontana scrive che i primi tre principi (relativi alla condanna dell’aborto e dell’eutanasia, alla difesa dell’embrione e della famiglia) in alcuni casi sono stati gli unici citati da Benedetto XVI; è vero, lo fa anche, ad esempio, nel suo discorso del 2012 all’incontro promosso dall’Internazionale Democratico-Cristiana; ma prima di enunciare quei principi, spiega che si deve attuare un «decisivo discernimento” negli ambiti “concernenti gli interessi più vitali e delicati della persona, lì dove hanno luogo le scelte fondamentali inerenti il senso della vita e la ricerca della felicità»[4]. Secondo il papa, «Tali ambiti peraltro non sono separati, ma profondamente collegati, sussistendo tra di essi un evidente continuum costituito dal rispetto della dignità trascendente della persona umana […] radicata nel suo essere immagine del Creatore e fine ultimo di ogni giustizia sociale autenticamente umana»[5]. Ho preso l’esempio di un discorso ai politici cattolici per sottolineare un fatto che deve essere visto nella sua realtà e deve essere accettato; intendo dire che il papa, come è logico, a seconda delle persone e delle categorie di persone alle quali si rivolge, pone l’accento più sull’uno o sull’altro dei principi non negoziabili. Ma, come si vede, non dimentica mai di richiamare all’interezza della dottrina, che va dalla difesa della vita nascente alla giustizia sociale; e a questa interezza ci si deve attenere nel dibattito. Evitiamo dunque di citare solo ciò che conviene o di creare gerarchie tra principi che – come sottolinea Benedetto XVI – sono “profondamente collegati”, si spiegano e si sorreggono l’uno con l’altro.
2. Perché occuparsi dei “principi non negoziabili”?
L’Editoriale di «Nuova Umanità» non aveva alcuno scopo partitico. Mi sono occupato dei “principi non negoziabili” perché, in questi ultimi anni, li ho visti usare da cattolici schierati su posizioni politiche diverse, in maniera strumentale, per colpirsi gli uni gli altri. Ritengo che questo sia un grave errore perché, anche se una molteplicità di opzioni politiche tra i cattolici, presente in tutti i Paesi del mondo dove esiste la libertà di espressione, va accettata, non si può accettare invece una divergenza sui principi. Su quei principi etici, intendo, che costituiscono il fondamento della vita sociale e che vengono chiamati, per questo, “principi non negoziabili”.
Ciò significa che un cattolico, per qualunque partito voti, deve conoscere e accettare tutti questi principi ed adoperarsi perché tutti abbiano piena attuazione, anche a costo di mettersi contro il suo stesso partito. Nessun partito, infatti, accoglie nei propri programmi in maniera piena e convincente l’insieme dei principi non negoziabili; per questo, il cittadino e il militante politico cattolico avrà sempre un’attitudine critica e conserverà sempre la piena libertà di coscienza anche – e soprattutto – nei confronti della parte politica alla quale appartiene.
3. Come occuparsi dei “principi non negoziabili”?
Un cattolico potrà divergere da un altro cattolico sui mezzi con i quali assicurare i principi non negoziabili, ma non sui principi stessi, che costituiscono il fondamento e il fine della vita associata. Non è lecito rinunciare ad un principio per difenderne un altro; per esempio, il cattolico che milita in un partito che è ufficialmente favorevole alla pena di morte, non può accettare questa posizione per il fatto che quello stesso partito è contrario all’aborto: il “non uccidere” è un “assoluto morale” che, come tale, deve essere fatto valere in tutti i suoi aspetti, «cioè sempre ed in ogni occasione (semper et ad semper)»[6].
Non si può privilegiare alcuni dei “principi non negoziabili” rispetto ad altri: in questo modo si stravolge l’equilibrio della dottrina o si arriva, in casi più gravi, ad una vera e propria riduzione dottrinale. Siamo davvero sicuri che si possa stabilire una gerarchia tra questi principi? È frequente sentire invocare i “principi non negoziabili” solo in riferimento all’aborto, all’eutanasia, ai diritti dell’embrione, alla natura e tutela della famiglia; in tal modo si limitano i “principi non negoziabili” ai primi tre. Ma non basta che uno Stato abbia una legge che vieta l’aborto; dev’essere anche uno Stato che rifiuti la guerra come mezzo per risolvere le controversie e che conservi la pace, altrimenti tutti i bambini che salva con una mano, li manda a morire con l’altra.
Una distinzione, in effetti, si potrebbe fare tra gli “assoluti morali” espressi attraverso comandi negativi (praecepta negativa), che comandano di “non fare” quali, appunto, il “non uccidere”, da una parte; e, d’altra parte, principi morali che si esprimono attraverso prescrizioni affermative, le quali, invece, comandano “di fare” (praecepta affirmativa), come nel caso delle politiche a tutela della famiglia e della libertà di educazione; ma entrambi i tipi di principi sono presenti nei primi tre “principi non negoziabili” e, dunque, non si può neppure invocare questa distinzione, per certi aspetti rilevante, per separare i primi tre principi “non negoziabili” dagli altri. Inoltre, un comando “di fare”, viene sempre esigito dal corrispondente comando di “non fare”; perché non si creino le condizioni che potrebbero portare qualcuno a uccidere la vita nascente, ad esempio, si deve provvedere ai mezzi per accogliere, crescere, curare e istruire colui che nasce, fermo restando che il precetto negativo “non uccidere” vale anche in assenza delle condizioni che lo potrebbero rendere più facile.
4. Due esperienze e i loro insegnamenti
Tra le azioni pubbliche nelle quali in passato mi sono impegnato, due hanno avuto, per me, una particolare rilevanza; entrambe le azioni riguardano la difesa della vita e della famiglia, per cui trovo alquanto curioso venire richiamato all’importanza di valori per i quali ho dato vari anni di vita e di lavoro, insieme, e ugualmente, a molti lettori di «Città nuova» e di «Nuova Umanità» che in quelle azioni si sono impegnati cooperando efficacemente al loro esito.
La prima fu l’azione condotta negli anni 1997-2000 per l’approvazione di una legge sulla procreazione medicalmente assistita. Essa iniziò con la formazione di un gruppo trasversale di parlamentari cattolici (dai Democratici di Sinistra, con l’on. Giuseppe Gambale, ad Alleanza Nazionale, rappresentata dall’on. Alfredo Mantovano) che si occupavano della legge sulla procreazione nella Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati. In accordo con il parlamentare europeo Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, scrissi ad alcuni deputati, invitandoli ad incontrarsi nella sede della Scuola di formazione all’impegno sociale e politico Res nova di Roma, da me diretta. Cominciò così un’esperienza straordinaria di lavoro tra i parlamentari e con i cittadini, che coinvolse successivamente l’associazionismo famigliare e sanitario cattolico ed arrivò a fare approvare alla Camera una legge sulla procreazione artificiale che, sia pure imperfetta, accoglieva una parte rilevante dei “principi non negoziabili”[7]. La legge venne poi bloccata dal Senato ma l’esperienza, per il grande coinvolgimento di giovani e di famiglie, per il dibattito che suscitò nel Paese, fu formativa per molti e paradigmatica di un tipo di alleanza tra la società civile e i suoi parlamentari che metteva in secondo piano i partiti. Ne cogliemmo i frutti negli anni successivi.
La seconda azione, nel 2005, riguarda la costituzione e l’azione del Comitato “Scienza e Vita”, richiesto dalla Conferenza Episcopale Italiana, guidato da Carlo Casini, Edo Patriarca, Maria Luisa Santolini e da me, sostenuti dai membri di movimenti e di associazioni ecclesiali; una volta impostati i lavori e la struttura del Comitato, chiamammo i due Presidenti dello stesso, il Prof. Dalla Piccola e la Prof.ssa Binetti. Ci impegnammo per difendere la legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, contro il referendum che era stato indetto per modificarla in punti sostanziali. Come si ricorderà, grazie soprattutto ad una grande mobilitazione popolare, vincemmo il referendum.
Tra le importanti caratteristiche di queste due esperienze, ne vorrei sottolineare due, di particolare rilievo per l’argomento che stiamo discutendo: la trasversalità politica e gli argomenti usati nel dibattito.
5. La trasversalità politica dei principi non negoziabili
La trasversalità politica indica l’adesione ad un nucleo di principi fondativi da parte di cattolici e non cattolici appartenenti a forze politiche diverse. Le due esperienze sono importanti proprio perché dimostrano che questa unità dei cattolici – non partitica, ma sui principi – è possibile anche nella molteplicità delle scelte politiche che essi fanno; tanto è vero che si è ottenuta una vittoria in un periodo storico nel quale non esiste un partito cattolico “di riferimento” quale era stato per molti, nel passato, la Democrazia cristiana. Ora, la costituzione di un siffatto partito, certamente lecita ed utile – e in alcuni casi della storia recente, realmente decisiva – non sempre è possibile o opportuna; tanto è vero che la maggior parte dei Paesi del mondo non ha un partito di ispirazione cristiana che costituisca il punto di riferimento per la maggioranza dei cattolici; per questo, le esperienze politiche positive compiute in tali condizioni di pluralismo politico dei cattolici, potrebbero risultare dei modelli e l’efficacia politica dimostrata dalle azioni trasversali – che certamente non sono l’unico modo di agire dei cattolici in politica – dovrebbe essere maggiormente approfondita.
Si deve ricordare che ai tempi della Democrazia cristiana, in presenza dunque di un partito di riferimento per la maggioranza dei cattolici, i cattolici subirono due sconfitte rilevanti proprio sui temi etici. In effetti, le grandi questioni di morale della vita e della famiglia sono sempre state trasversali, in Italia, come dimostrano i risultati di alcuni referendum “storici”. Quello del 1974 contro il divorzio fu sconfitto con il 59,30% di no, contro il 40% di sì; nel Parlamento di allora la somma di tutti i partiti di sinistra arrivava al 45%. Ciò significa che a votare a favore del divorzio ci fu almeno un 14% di cittadini di centro e di destra. Se passiamo al referendum del 1981 contro l’aborto, i sì all’abolizione dell’aborto furono l’11,60% e i no l’88,40%; ma nella Camera dei deputati di allora, le sinistre e i radicali insieme non arrivavano al 49%; per giungere all’ 88,40% ci vuole un 39% di voti a favore dell’aborto che veniva dal centro e dalla destra.
La realtà è che in questo Paese non esiste una maggioranza politica cattolica: se si vuole ottenere un risultato politico bisogna, laicamente, convincere della bontà dei nostri principi i non cattolici. Le due azioni sulla procreazione medicalmente assistita, condotte in assenza di partiti di riferimento, hanno dimostrato che i cattolici sono in grado di produrre ragioni che convincono anche gli altri, i non cattolici, fino a formare una maggioranza politica. E che per ottenere questo non è necessario avere un “partito dei cattolici”, o un “partito cattolico”, anche se è certamente lecito che alcuni possano provare a farlo. Personalmente, mi sembra insuperabile la difficoltà intrinseca del tentativo, perché non è il “cattolico” che fa politica, ma è il “cittadino”; mai il cattolico dovrebbe permettersi di rimpicciolire la realtà della sua fede alle dimensioni di un partito, anche se in esso, naturalmente, metterebbe tutte le forze e le risorse che dalla fede gli vengono, ma assumendosi la responsabilità di una scelta personale, senza mescolare religione e politica, senza fare un partito confessionale; il cattolico che si impegna in politica deve imparare a parlare – anche nel senso di agire – un linguaggio politico laico e, anche, a innovarlo e a trasformarlo se esso è insufficiente. Il pluralismo politico dei cattolici in Italia non è certo un argomento improvvisato: fu occasione di una profonda riflessione ecclesiale, nel periodo successivo al crollo della Democrazia cristiana, che culminò con il Convegno ecclesiale di Palermo nel 1995.
È necessario separare nettamente la propria appartenenza ecclesiale dalla propria personale scelta politica, altrimenti si dà l’idea che da una particolare appartenenza ecclesiale discenda anche un’appartenenza di partito; non si può fare politica “in nome di Dio”; se Dio avesse voluto farla, avrebbe già risolto tutti i problemi umani; ma siccome ha lasciato a noi questo compito, ciascuno deve fare politica a nome proprio.
6. Bioetica e democrazia: come tenere insieme politicamente tutti i principi non negoziabili
La seconda caratteristica delle azioni sulla “procreazione medicalmente assistita” riguarda gli argomenti che usammo per condurre le due campagne menzionate[8]. Non ci limitammo a invocare i primi tre “principi non negoziabili”; sono convinto, con la forza dei fatti, che non sarebbero bastati a condurre in porto le azioni. Per difendere l’embrione e la famiglia facevamo uso anche di altri importanti elementi, riconducibili ad altri “principi non negoziabili” che riguardavano il sociale, l’economico e il politico.
Ad esempio, si spiegava, perché molte donne sono costrette a ricorrere alla procreazione artificiale? Perché decidono di avere un figlio dopo i 35 anni, quando la loro capacità di diventare madri si è ormai ridotta; ma allora, perché non mettere in discussione l’organizzazione del lavoro, che ricatta la giovane lavoratrice la quale, se vuole diventare madre, spesso deve rinunciare al lavoro o alla carriera? È per questo che molte donne rimandano l’accoglienza del figlio ad una età nella quale molte non saranno più in grado di ottenere una gravidanza con le sole risorse della natura e ricorreranno alla procreazione artificiale: non sarebbe meglio cambiare le condizioni del lavoro femminile anziché autorizzare leggi che, per riparare ad una ingiustizia (contro la donna) ne commettono un’altra (contro l’embrione)? In questo modo, con questi ragionamenti, un principio non negoziabile (tutela dell’embrione) riguardante la bioetica veniva strettamente legato ad un altro principio non negoziabile (economia al servizio della persona).
Un altro argomento richiamava la natura dello Stato. Perché si costituisce uno Stato? Una motivazione su cui tutti sono d’accordo dai tempi di Hobbes in poi – era il nostro argomento – è che i cittadini stringono il contratto per mettere in salvo la propria vita, per sottrarsi alla legge del più forte, attribuendo allo Stato il monopolio dell’uso della forza. La prima legge dello Stato è il contratto stesso, e riguarda la salvaguardia della vita dei cittadini. Nessuna maggioranza, sosteneva Benjamin Constant, può disporre della vita dei cittadini; dunque, nessuna maggioranza può mettere in discussione questa legge fondamentale, a meno che non si voglia mettere in discussione l’esistenza stessa dello Stato, della realtà politica. E trovavamo un alleato, nella sinistra – e contro le posizioni ufficiali della sinistra –, in Norberto Bobbio, che scriveva: «Il primo grande scrittore politico che formulò la tesi del contratto sociale, Tommaso Hobbes, riteneva che l’unico diritto cui i contraenti entrando in società non avevano rinunciato era il diritto alla vita, e […] Beccaria traeva l’argomento principale contro la pena di morte dalla considerazione che non è concepibile che gli aderenti al contratto sociale abbiano attribuito alla società anche il diritto di privarli della vita»[9] .
Ricordo una riunione, nel 2005, presso la sede del Comitato “Scienza & Vita”, nella quale esponevo questi argomenti come aspetti portanti della campagna in corso e un noto politologo cattolico mi interruppe chiedendo sbrigativamente: «Ma che c’entra la procreazione con la democrazia?»; come a dire: come fate a difendere principi religiosi (che molti identificano erroneamente con la destra) con ragioni laiche (che molti identificano erroneamente con la sinistra)? Non capiva come noi potessimo difendere la vita nascente (primo dei principi), facendo uso degli altri principi, quelli che esigono una società giusta e il perseguimento del bene comune. In realtà, l’utilizzo di tutti gli argomenti che discendono sia dai principi etici generali, sia dall’intero corpo della dottrina sociale cristiana, aiutano a far maturare le diverse culture politiche che oggi si presentano come disseccate rispetto alla loro ispirazione originaria e aggressive perché, per distinguersi le une dalle altre, non hanno più i contenuti ma la rabbia. Che ne è di una sinistra, nata per difendere i deboli, ma incapace di riconoscere il debole nell’essere umano non nato? E che ne è di una destra, un tempo liberale, che si riduce spesso a difendere un capitalismo finanziario che ha tolto alle stesse istituzioni politiche la libertà di orientare i popoli?
7. “Il vero senso delle cose”
Siamo davanti ad un cambio d’epoca radicale, che dobbiamo ancora riuscire a misurare in tutta la sua ampiezza. Un uomo che se ne rese conto molto presto fu Aldo Moro. Nel periodo successivo alla sconfitta sul referendum contro il divorzio, parlando il 18 luglio 1974 al Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, egli riusciva a vedere, nella realtà della trasformazione sociale che, pure, lo preoccupava e nei rischi radicali che l’intera società correva, le primizie di un nuovo cammino di più profonda umanizzazione: «Del resto, se si vuole andare al di là della superficie, se si vuole cogliere il senso vero delle cose (si tratta infatti di un fenomeno storico, emergente non solo dalla cultura laica, ma da quella cristiana che contempla l’uomo, il suo valore, i suoi diritti, la sua legge di coscienza), ebbene, con tutte le sue lacerazioni, il referendum è stato un confuso venire alla luce di un mondo più libero e di uomini più autonomi e responsabili, responsabili di per se stessi, e non in ragione di una costrizione legale. Chi può negare che […] vi siano coloro che, al di là del pur grande problema proposto, abbiano inteso affermare proprio la dignità dell’uomo e l’autonomia della coscienza?»[10]. Per Moro, il punto chiave era cercare di comprendere, e non di guardare soltanto come fossero estranei fenomeni storici certamente problematici, ma che scaturivano in qualche modo anche da ciò che il cristianesimo aveva immesso nella cultura umana.
Lo stesso atteggiamento troviamo nel cardinale Ratzinger che dialoga con Jürgen Habermas[11], usando un linguaggio filosofico e non solo teologico, per venire ascoltato e compreso nello spazio pubblico. È attraverso questo atteggiamento di fiducia nella verità e nella sua capacità di manifestarsi anche in chi non è cristiano, che i cattolici possono aiutare l’intera società a comprendere sempre meglio la dignità dell’umano. Ma non tutti i cattolici sembrano avere questa apertura e questa fiducia, che fu invece caratteristica del Concilio Vaticano II.
Si deve prendere atto, qui, delle differenze culturali che esistono tra i cattolici: un tema di grande interesse che sarebbe bene approfondire. E si può comprendere la ragione fondamentale dell’Editoriale di «Nuova Umanità» di cui stiamo parlando: richiamare alla completezza e all’unità della dottrina, evitare ogni forma di riduzionismo, pur nella diversità delle opzioni politiche. Credo che ogni cattolico e, soprattutto, ogni realtà e movimento ecclesiali che agiscono nel sociale e nel pubblico dovrebbero incominciare un dialogo, al proprio interno e con gli altri, per interrogarsi sulle risorse e sui limiti della propria cultura, al fine di diventare, ciascuno nel proprio modo ma in comunione con tutti, sempre più adeguato nell’esprimere, nella fedeltà alla propria originalità, l’interezza del messaggio cristiano.
[3] Congregazione per la dottrina della fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, Roma, 24 novembre 2002, n. 3. In www.vatican.va
[4] Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Internazionale Democratico-Cristiana, Castel Gandolfo, 22 settembre 2012. Reperibile in www.vatican.va
[5] Ibid.
[6] J. Finnis, Gli assoluti morali. Tradizione, revisione & verità, Edizioni Ares, Milano 1993, p. 39.
[7] Nella rivista «Nuova Umanità» furono pubblicati i testi degli interventi fatti in occasione della presentazione dei risultati del lavoro del Gruppo trasversale, con la partecipazione del Presidente della Camera, on. Luciano Violante, presso il Collegio Capranica a Roma il 19 novembre 1997; cf. Fecondazione medicalmente assistita: tutela dei diritti della persona e compiti dello stato, in «Nuova Umanità», XX (1998/1) 115, pp. 1-55; reperibile nell’Archivio di «Nuova Umanità» online: http://nuovaumanita.cittanuova.it/contenutoNU.php?idContenuto=333436
[8] Cf. Gli argomenti del dibattito intorno alla legge 40/2004; inserto speciale di «Città nuova» 03/2005.
[9] "La Stampa", 15 maggio 1981.
[10] A. Moro, Discorso al Consiglio nazionale della Dc, 18 luglio 1974, in A. Moro, L’intelligenza e gli avvenimenti. Testi 1959-1978, Garzanti, Milano 1979, p. 294.
[11] J. Ratzinger- J. Habermas, Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005.