Ancora una strage di copti
Ancora una strage in Egitto. Due pullman di cristiani copti in pellegrinaggio al monastero di Anba Samuel, nell’alto Egitto, sono stati fermati nei pressi di Minya (250 km a sud del Cairo) da una decina di uomini armati che indossavano false divise militari. Gli attentatori hanno aperto il fuoco sulla gente ed hanno distrutto tutto. Per ora si parla di 35 morti e molte decine di feriti, alcuni molto gravi. Uno dei due pullman era pieno di bambini.
Continua la strategia del terrore jihadista, anche se l’attentato non è stato al momento ancora rivendicato. Probabilmente sono stati scelti dei cristiani copti perché fanno più notizia sui media internazionali, così come i turisti, ma di questi in Egitto ce ne sono sempre di meno. L’obiettivo dei jihadisti è comunque più ampio dello sterminio di qualche decina di “infedeli”, è abbattere lo Stato egiziano, e non solo quello. A titolo esplicativo, cito un’intervista anonima pubblicata qualche settimana fa sul periodico del Daesh, al-Naba, in cui si avvisavano i fedeli islamici di tenersi lontani da riunioni cristiane, sedi governative, militari e della polizia, indicati collettivamente come “legittimi obiettivi” da colpire. Ovviamente gli uomini da colpire “legittimamente” nelle sedi governative e tra le forze dell’ordine non sono solo cristiani, anzi sono soprattutto musulmani. Inoltre l’attacco è avvenuto in coincidenza con l’inizio del Ramadan, il mese in cui ai musulmani è tra l’altro proibita la guerra. Ma ai jihadisti non importa. In nome di un Islam che si sono inventati, i pilastri della shari’a cedono il passo ad un jihad inteso solo come massacro, senza alcuno sforzo per la fede.
Quello che sta succedendo in Egitto è un vero attacco contro lo Stato, di cui i cristiani fanno le spese. Secondo l’Arabic Network for Human Rights, solo nel 2015 ci sarebbero stati in Egitto almeno 400 attentati con circa 1.000 morti, soprattutto tra le forze dell’ordine.
Tutto questo mentre il presidente statunitense esorta fiducioso i Paesi sunniti a liberarsi della piaga del terrorismo, che viene da lui imputato all’azione dei “cattivi” iraniani. E in segno di aiuto per questa meritevole azione (armata) di “eliminazione del terrorismo” vende ai sauditi armi per 110 miliardi di dollari, ma che spera diventino almeno 350 nel giro di 10 anni. Il denaro non puzza.
Penso ai cristiani egiziani ma anche agli sciiti dello Yemen, alle centinaia di migliaia di siriani e iracheni uccisi, e ai milioni di rifugiati abbandonati nei campi della Turchia, del Libano e della Giordania. E non dimentichiamo Manchester e gli attentati in Europa. Indignazione e dolore che in questo momento attraversano tutto l’Egitto, non solo tra i cristiani copti così duramente colpiti. Il presidente egiziano Abdul Fattah al-Sisi deve gestire una situazione nei fatti quasi impossibile da gestire.
Il grande imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib (che ha di recente incontrato papa Francesco), parla pubblicamente di un attentato che «mira a danneggiare la stabilità dell’Egitto» e che ogni cittadino, musulmano o cristiano, condanna senza riserve. Anche padre Rafiq Grech, portavoce della piccola e spesso discriminata Chiesa copto-cattolica è stato molto duro: «È un crimine ignobile perché i terroristi hanno ucciso civili innocenti, non armati, che erano diretti al monastero, in una sorta di pellegrinaggio religioso. Non stavano andando in guerra, o a uccidere, non portavano armi».
In queste situazioni le ragioni e i sentimenti devono, se vogliono avere ancora una speranza da dare, cedere il primato allo spirito.