Ancora a proposito del processo a Nuzzi e Fittipaldi
L’amico e collega Rocco Femia, direttore di una bellissima rivista per gli italiani in Francia, Radici, con la consueta franchezza che ci unisce (parresia?) scrive così, dapprima sottolineando le convergenze di pensiero: «Concordo con te sul viaggio del papa in Africa. Hai visto giusto ed è un errore non dedurne le enormi conseguenze di questo viaggio. Concordo sull'effimera diatriba attorno al presepe e alle tardizioni cristiane maltrattate da ormai fin troppo tempo da questi pseudo difensori della cristianità. Concordo in parte sull'analisi delle esternazioni di mons. Negri a proposito del papa».
Poi cominciano le divergenze: «Come ti succede a volte, cadi nell'ingenuità di credere che alcuni vogliono vedere il male dove proprio non c'è e che in fondo molti carrieristi vaticani non praticano poi in maniera così assidua lo sport di remare contro. E invece sì, e sono tanti. Dovresti sapere (se non lo sai già) che c'è una pletora piuttosto importante di vescovi e cardinali che con il Vangelo non hanno mai avuto molto a che fare e che in molte diocesi costituiscono una pietra d'inciampo per i fedeli. Invece scadi nella distrazione ingiustificabile per un buon scrittore come te, quando vuoi far credere che il processo a Balda-Chaouqui-Nuzzi-Fittipaldi, viene fatto passare per un attacco alla libertà di stampa».
Quindi qualcosa di solo parzialmente vero: «È evidente che non hai letto nessuno dei due libri, altrimenti non avresti fatto questo errore madornale». In realtà dei due libri ho letto una buona parte, più della metà certamente, senza essere tuttavia arrivato alla fine. Per sfinimento. Ma Rocco Femia continua ad argomentare: «Chi fa credere cosa? I giornalisti? Nuzzi e Fittipaldi le cose che avevano da dire le hanno dette nei libri. Punto. Sono due giornalisti italiani che hanno fatto il loro dovere, perché ritengono che certe cose si debbano sapere. Se aspettassimo i “veri” giornalisti, hai voglia di attesa. E sono così gravi e volgari i fatti emersi dai libri (fatti peraltro mai contraddetti) che avreste dovuto avere, almeno una volta, il coraggio di gridare sui tetti che molti prelati (tantissimi) non sono emendabili, ma vanno cacciati fuori. Ecco perché temo che piuttosto che sano giornalismo il tuo è piuttosto diplomazia giornalistica di chi non può dire certe cose».
Ringrazio Rocco di darmi la possibilità di argomentare anch’io. Non ho mai negato – e come poterlo fare? – che in Vaticano vi siano mele marce. Forse anche cassette intere di mele marce. E che debbano andarsene con tutto il loro ciarpame di carrierismi, intrighi, malversazioni e ogni altra “sozzura”, come avrebbe detto San Paolo. Benedetto XVI e Francesco hanno denunciato senza se e senza ma tali tradimenti del Vangelo.
Egualmente concordo sul fatto che in Vaticano le procedure processuali siano spesso antiquate, e che dovrebbero essere adeguate agli standard internazionali. I diritti della difesa in particolare vanno rivisti.
Ma non si può pensare che tutto il Vaticano sia così: c’è gente di una nobiltà d’animo, di una “santità”, sì, proprio così, che non può essere taciuta. Purtroppo il sistema mediatico fa sì che il dettaglio, la parte, diventi la totalità, l’universo intero. E se c’è la potenza di fuoco di certi gruppi editoriali, il risultato è garantito. Ingenui, molto spesso, sono coloro che credono a questi gruppi (ed anche a certe lobby) senza riflettere con la propria testa, caro Rocco.
Lo “stile” di Città Nuova, poi, non è tanto quello di usare linguaggi perentori, quanto di cercare di mantenere un equilibrio di visioni e di argomentazioni. Che ci si riesca, non lo so, sono i lettori a dover decidere, anche se, lo ammetto, il rischio è quello di apparire “giornalisti diplomatici”. Ma c’è una “diplomazia della carità” (o chiamala come vuoi) che non possiamo tradire, è nella nostra vision.
Qualcosa ce l’ho da dire anche sullo stile così diverso dal nostro di certo giornalismo investigativo, che pur di avere la notizia usa ogni mezzo, lecito e anche illecito, e che elabora teoremi che poi vengono non sempre correttamente sostenuti con “pezze d’appoggio” prese qua e là, spesso non omogenee, basate più sui “si dice” che su dati di fatto. Sia chiaro, Fittipaldi e Nuzzi hanno un mare di notizie vere, e su ciò non c’è nulla da dire: ma il loro teorema di una Chiesa marcia nelle sue fondamenta non mi convince proprio.
Si dice poi che le notizie riportate nei libri di Nuzzi e Fittipaldi (che peraltro sono in possesso di tecniche giornalistiche invidiabili) siano state vendute da Balda e Chouraqi. Non so se ciò sia vero, spero francamente di no, il processo in corso dirà qualcosa di più preciso; ma per me in nessun modo tali pratiche di acquisizioni delle notizie (purtroppo assai frequenti) sono lecite.
E tuttavia, lo ripeto, questo non è il centro della questione: la questione è il “teorema complessivo” che non accetto. Come giornalista. Non come difensore civico del Vaticano, in questo ruolo basta padre Lombardi.